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Difendiamo le donne dall’Islamofobia e dalla violenza. Intervista a Manel Bousselmi, presidente dell’associazione “FATIMA”

Per rispondere alle esigenze delle donne musulmane, alla fine di dicembre dello scorso anno, a Palermo, è nata “Fatima”, l’associazione delle Donne Islamiche, che con il suo sportello di ascolto è diventata punto di riferimento per le donne che subiscono violenza fisica, psicologica, economica, sessuale e mobbing. Per non interrompre la catena ereditaria, l’associazione si occupa anche di insegnare l’arabo ai bambini musulmani e la lingua italiana alle madri immigrate, strumento fondamentale per l’integrazione nel Paese in cui vivono, per capire e farsi comprendere.

Manel Bousselmi, 36 anni originaria della Tunisia e mamma di due figli, laureata in Management of Quality in Tunisia, iscritta alla facoltà di Ingegneria gestionale dell’ Università di Palermo, è la presidentessa dell’associazione. Nell’intervista, Manel ci spiega come affrontano il disagio delle donne che subiscono violenza di genere.

Come nasce “Fatima”?

L’associazione Donne Islamiche è nata dall’esigenza di promuovere la socializzazione multietnica e l’integrazione sociale. Il progetto è stato realizzato insieme a Youssra Haoufiya, 29 anni, di origini marocchine, oggi segretaria dell’associazione. Venivamo già da esperienze di forte impegno sociale, quindi, sapevamo già, che le donne musulmane che vivono nelle città europee incontrano spesso difficoltà a integrarsi nella società dovute a molteplici fattori, quali i problemi linguistici e le differenze culturali che spesso impongono una sofferta ricerca di un compromesso per colmare il divario tra la cultura del paese di origine e quello di accoglienza. Con questa consapevolezza, è nata la nostra associazione che oggi vede quindici donne, quindici sorelle provenienti dalla Tunisia, dal Marocco, dall’Algerina, dal Bangladesh, dal Senegal e dal nord Africa, tutte impegnate nell’attività che svolgiamo.

Per che cosa vi battete?

Noi difendiamo dall’islamofobia. Le donne musulmane, rispetto agli uomini, e soprattutto quelle che che portano il velo, sono maggiormente discriminate dalla società. Le donne islamiche soffrono delle disuguaglianze maggiormente nel mondo del lavoro e sono oggetto di violenza sessista, fisica e verbale, la disparità aumenta con altri fattori, come quelli della religione e della etnia. E’ un luogo comune, infatti, associare le donne musulmane al terrorismo e all’estremismo. Noi non siamo così, insegnamo ai nostri figli i principi fondamentali, quali l’amore, la fratellanza, la condivisone e la convivenza. Difendiamo i diritti del lavoro e chi subisce violenza.

Il 25 novembre è la Giornata di lotta contro la violenza sulle donne. Possiamo palare di violenza di genere ma anche di violenza sessista, intesa come supremazia dell’uomo sulla donna?

La lotta alla violenza di genere passa anche attraverso la costruzione dell’indipendenza: donne autonome ed economicamente indipendenti saranno più facilmente libere dalla violenza domestica, familiare, coniugale. Oggi, che per noi è una giornata particolarmente significativa, dico che solo se sarà eliminata ogni forme di divisione sessuale e razzista, nella famiglia e nel lavoro, le donne musulmane potranno riscattarsi.

Puo tratteggiarci, e se è il caso, sfatare la convinzione, ormai radicata nei Paesi occidentali, che la Sharia prescrive la violenza di genere?

La Sharia è un argomento importante e implica una conoscenza profonda dell’Islam. E’ fondamentale comprendere la differenza tra la Sharia e la sua elaborazione umana. Le discriminazioni nei confronti della donna nell’Islam non dipendono dal Corano, ma da come viene interpretato, l’errata interpretazione è dovuta all’ignoranza e al maschilismo di certi uomini.

La nostra religione non prescrive la violenza di genere. La donna è sacra e il Corano non induce mai alla violenza di genere, al contrario, vorrei ricordare un versetto significativo che recita cosi: “Le donne sono sorelle degli uomini, non le onora che un generoso, e non le maltratta che un infame” Oggi, il problema dei Paesi occidentali, sta nei cervelli. Il Profeta, non ha mai picchiato una donna e diversi versetti del Corano parlano della dignità delle donne. Non si riesce a far comprendere che il problema ruota attorno all’interpretazione errata della nostra religione, dipende da un fatto strettamente culturale. In Tunisia, ad esempio, non abbiamo una cultura come quella dell’Arabia Saudita, così come la cultura iraniana è certamete differente rispetto a quella di altri Paesi. La donna nell’Islam, ha un posto impotante nella nostra cultura e nella nostra religione, basti pensare al ruolo della madre, che è colei che ci ha regalato la vita. Per questo, desidero ricordare un altro versetto che dice: “Il Paradiso si stende sotto i piedi delle madri”

Come aiutate le donne vittime di violenza che si chiedono aiuto alla vostra Associazione?

La nostra associazione segue un iter preciso e studiato Fare emergere le violenze vissute in ambito familiare è sempre più complesso, perchè ledonne provano sentimenti conflittuali e contrastanti, Ad esempio, se la violenza è stata perpetrata da un figlio, una madre proverà vergogna, tenderà a giustificarlo, trovando motivazioni plausibili con se stessa. Spesso si sentono cattive madri. Nel caso di una violenza subita dal marito, si sentono sole, confuse, provano il senso dell’ineguatezza. E’ davvero complicato. Ma noi abbiamo studiato il metodo del “Cerchio”. Anonimamente, attraverso l’uso delle schede, le donne affrontano il problema e tutti collaboriamo per proporre soluzioni anche con l’aiuto dello psicologo. Non sentono il senso di abbandono e di solitudine, perchè il nostro sportello è a carattere familiare, condividiamo le nostre esperienze e ci aiutiamo reciprocamente. Se le violenze sono subite nell’ambito lavorativo, le donne sono meno reticenti, in questo caso il supporto da adottare diventa meno complicato.

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, sancisce: ” Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi”. Ancora oggi, sembra che ci sia una diffusione massiccia, soprattutto nei villaggi, di matrimoni combinati e forzati. Qual è il tuo pensiero a riguardo?

Nella nostra religione la donna ha libertà di scegliere il marito. Anche questo tema mi riporta al fattore culturale. Ci sono alcuni Paesi dove culturalmente si obbligano le donne a sposare uomini su indicazione della famiglia, altri dove c’è la libertà di scegliere, di potere dire si o no. Questo dei matrimoni combinati è un pregiudizio, perchè la nostra religione non impone il matrimonio infelice, al contrario, ambisce alla felicità della donna che ha il diritto di scegliere il marito.

In Egitto, Sarah Hijazi, attivista del movimento LGBT è morta suicida, dopo le violenze subite in carcere. La donna aveva sventolato una bandiera arcobaleno, simbolo della comunità LGBT, durante un concerto nella capitale egiziana. Nonostante non sia un reato, gli omosessuali, in base alla “legge sulla depravazione”, possono essere perseguiti penalmente. Ancora più allarmante è che le discriminazioni, in base all’orientameto sessuale, non sono menzionate né dalla Costituzione, né tra le leggi. Considerato che l’identità di genere, è un diritto imprescindibile dell’uomo, quale potrebbe essere la politica per garantire i diritti LGBT?

Condanniamo ogni forma di violenza. Noi, come associazione, difendiamo la libertà di scelta delle donne, a prescindere dall’orientamento. Riguardo la politica per garantire i diritti LGBT, mi sento di dire che  dobbiamo rispettarci al di là della nostra religione e della nostra scelta. Dobbiamo vivere nel rispetto reciproco. Questo è un principio fondamentle che deve essere compreso da tutti.

.La rappresentanza femminile in politica è sostenuta? E in che misura?

In Tunisia la donna può lavorare al Ministero, può essere autista di un autobus o di un tram, potrebbe anche pilotare un aereo, ma per sfortuna non ha mai guidato il Paese per l’innegabile visione maschilista.

La “Primavera Araba”, pare che non abbia sortito gli effetti desiderati. Con la rivoluzione digitale, credi che possa esserci una prospettiva di un’onda di femminismo arabo?

La Primavera araba non ha sortito gli effetti sperati e desiderati. Per quello che riguarda il femminismo arabo, penso che la prima onda risalga ad oltre 70 anni fa. Mi riferisco al Sudan, al Libano e alla Tunisia che raccontano di veri fermenti femministi che però non sono riusciti ad arrivare oltre, ad un certo punto l’onda si ferma. Noi speriamo sempre che qualcosa cambi e di avere alla guida dei nostri Paesi una Presidentessa. Nel frattempo insegnamo ai nostri figli l’importanza dei diritti fondamentali delle donne, che non esiste alcuna forma di razzismo e maschilismo, affinché possano crescere nella consapevolezza della parità di genere.