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La rivendicazione ad esistere. Intervista al regista palestinese Akram Safadi

Akram Safadi regista
docente universitario
autore di film e fotografie
Vive e lavora tra Gerusalemme e Torino.

Mentre sono in corso i negoziati per uno storico accordo fra Israele e Arabia Saudita con la partecipazione dell’Autorità Nazionale Palestinese, al governo dal 1993 dei territori autonomi palestinesi in Cisgiordania, Hamas, il gruppo militante palestinese che controlla la Striscia di Gaza, ha compiuto una delle più grandi invasioni sul territorio israeliano degli ultimi 50 anni. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha avvertito gli israeliani di prepararsi ad una guerra lunga e difficile. Il processo di Pace si allontana, quali sono le ragioni di Hamas?

Questa domanda dovrebbe essere rivolta ad Hamas. Io desidero precisare che i territori palestinesi in Cisgiordania non sono assolutamente autonomi. Inoltre, non cè stata nessuna invasione dei territori israeliani, sono territori palestinesi occupati. Si tratta di villaggi che sono stati sfollati nel 1948, con la fondazione dello Stato di Israele. Ma io dico il mio parere come una persona svincolata da tutti i partiti politici palestinesi. Io sono un artista, credo che non ci sia mai stato un vero processo di pace. Noi palestinesi siamo stati presi di inganno con questo negoziato, che sembra andare all’infinito senza nessun risultato fattibile. Poi non è un destino fatale che il processo di pace necessariamente si allontani. Può darsi che si inizi a capire meglio quanto sia importante negoziare seriamente. Forse dobbiamo tutti pagare un prezzo altissimo, e ci dispiace molto, lo scopo di noi palestinesi non è uccidere nè versare sangue. Bisogna aspettare e vedere cosa porta il futuro prossimo dopo l’attacco di sabato, probabilmente noi palestinesi siamo entrati in una fase diversa della nostra lotta contro l’occupazione militare israeliana. Ma credo inoltre che questa situazione valga anche per la società israeliana che dovrebbe rendersi consapevole di non potere continuare ad opprimere un altro popolo.

«La normalizzazione con l’Arabia Saudita è finita, almeno per ora». Lo ha detto Aaron David Miller, che aveva lavorato al Dipartimento di Stato per negoziare gli accordi di Oslo. Cosa si è deteriorato in questi trentanni che sono trascorsi, da quando sono stati venduti al mondo gli accordi di Oslo come l’inizio della pace in Medioriente ad oggi, con il massiccio attacco del governo radicale di Hamas che ne conclama il fallimento?

Sono accadute tante cose che hanno deteriorato gli accordi. Tra le cause rilevanti, significativa è il crescente insediamento di coloni (in Cisgiordania, e in buona parte della striscia di Gaza) che stanno divorando la maggior parte del territorio in trattativa per la sovranità palestinese. Tutto il territorio palestinese è frammentato da un Muro lungo centinaia di kilometri che delimita i piccoli cantoni che separano i palestinesi dai palestinesi. Il governo ultra fanatico, inoltre, crede solo al diritto assoluto dell’ebreo di vivere in questa terra. Questo rende tutto irrilevante, anche la normalizzazione. Alla fine mi chiedo, che cosa stiamo trattando? Quali sono gli orizzonti in vista? Che cosa vuol dire normalizzare con un regime di apartheid?

L’economia è stata duramente colpita dalla pandemia e da un conflitto di 11 giorni tra Israele e i militanti di Hamas nel maggio 2021. Il Medioriente è di nuovo in fiamme. Nel sito di notizie semi-ufficiale ISNA si legge che un consigliere del leader supremo iraniano Ali Khamenei sabato si è congratulato con i combattenti palestinesi, “Staremo al fianco dei combattenti palestinesi fino alla liberazione della Palestina e di Gerusalemme”, ha detto Yahya Rahim Safavi. Significa che Hamas può contare sull’appoggio militare e strategico dell’Iran?

Bisogna chiederlo ad Hamas. La resistenza di Hamas fa parte della resistenza del popolo palestinese. La resistenza di Hamas opera in un territorio occupato. In più la resistenza del popolo palestinese è molto più vecchia e storica.

Perché Hamas ha attaccato ora?

Si vede che la misura era colma. Due milioni e mezzo di gente sotto assedio in una prigione a cielo aperto senza mai poter uscire da 17 anni, senza viveri né medicine  acqua pulita e sotto bombardamenti frequenti che non distinguono il giorno dalla notte. Che cosa si aspettava il mondo?

L’inviato di pace delle Nazioni Unite in Medio Oriente, ha fatto un appello a tutti affinché “si tirino indietro dall’orlo del baratro”. Il ministero degli Esteri dell’Arabia Saudita ha chiesto una “cessazione immediata delle violenze”. Il capo della politica estera dell’Ue Josep Borrell, ha detto “usare civili come ostaggi è una palese violazione di tutte le leggi”. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dichiarato che quello di Hamas “è il terrorismo nella sua forma più spregevole” Il presidente turco Erdogan chiede moderazione da tutte le parti. Il ministero degli Esteri de Quatar ha detto che Israele è l’unico responsabile della continua escalation di violenza contro i palestinesi e ha invitato entrambe le parti a mostrare moderazione. Anche il presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki Mahamat ha fatto un appello ad entrambe le parti affinché ritornino, senza condizioni, al tavolo dei negoziati e il gruppo libanese Hezbollah, ha descritto gli eventi come una “risposta decisiva alla continua occupazione israeliana”. Intanto muoiono civili, donne e bambini. Come giudica la reazione del mondo all’attacco di Hamas?

Intendi dire la reazione del mondo occidentale piuttosto. Il mondo occidentale non vuole cambiare maniera, reagisce sempre con le doppie misure, continuando a non riconoscere che si tratta di un regime di “apartheid”. Tutto il male parte da qui. Per questo motivo la reazione è poco efficace, poco significativa e irrilevante. L’Occidente è vedente ma acceca se stesso, cosi va alla deriva. Spero che l’Occidente possa tornare alle sue radici umanistiche improntate sulla tolleranza, rispetto dei diritti per tutti e libertà.

Il 10 maggio del 2021 Hamas aveva sferrato un attacco missilistico contro il Paese governato da Netanyahu. In quell’occasione la lotta palestinese per l’uguaglianza e la libertà viveva una fase nuova e radicale, rappresentata da uno storico sciopero generale, il primo da decenni, con il pieno sostegno sia di Fatah che di Hamas. Come reagiscono oggi i giovani?

La maggior parte dei giovani vive chiusa nei campi profughi molto affollati e spesso senza servizi, non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania, senza un futuro, senza diritti, senza lavoro. Un giovane sano e in buona salute mentale, in qualunque parte del mondo, non accetterebbe mai di vivere una condizione simile.

Lo sciopero, un mezzo tra tanti altri.

Quando il mondo inizierà a riconoscere l’esistenza e i diritti della Palestina per potere finalmente dire Pace?

Noi speriamo anche subito. Forse bisognerebbe rivolgersi anche al Papa. Voglio precisare che é il mondo occidentale che non riconosce i diritti all’autodeterminazione del popolo Palestinese, perché non suscita interesse, è più conveniente in questo momento riconoscere la “super potenza di Israele”. Insomma, è un discorso di interessi e non di diritti, sanno tutti che si tratta di una pulizia etnica che dura da più di 80 anni eseguita dai governi sempre più di ultra destra. E’ possibile che adesso si possa intendere meglio la realtà guardando l’agonia dei civili palestinesi che non si differenzia da quella dei civili israeliani che viene univocamente raccontata dalla stampa internazionale. Il mondo occidentale dovrebbe avere almeno il coraggio di far applicare le risoluzioni internazionali in modo equo, rinunciando ad usare due pesi e due misure.