In Africa sta vincendo Putin, l’Europa fortezza è sotto assedio
1. Dopo la grande paura dell’invasione e della “sostituzione etnica”, dopo il ritorno ciclico degli allarmi per la pandemia da Covid 19, i paesi occidentali, soprattutto quelli più esposti ai confini esterni dell’Unione Europea, stanno vivendo la grande paura dello scontro bellico fuori dalla porta di casa, nella “civile” Europa bianca e cristiana, nell’Ucraina sotto attacco da parte di una grande potenza militare, la Russia di Putin, che non esita ad uccidere e intrappolare nella morsa dei suoi carri armati e degli attacchi aerei la popolazione civile. Con una continua minaccia di uno scontro nucleare che non risparmierebbe nessuno.
In questi casi, immediatamente, non si può che stare dalla parte dei civili sotto assedio e delle tante vittime, che hanno ormai subito una escalation dell’odio che non sarà certo superabile in pochi anni, come dimostra la situazione ancora tesa tra i nuovi Stati sorti nei Balcani dal tracollo della ex Jugoslavia. Per questo gli aiuti umanitari e tutti i tentativi di mediazione sono senz’altro da auspicare, piuttosto che un allargamento dei fronti con un intervento diretto dei paesi appartenenti alla NATO. Occorre però considerare anche il quadro geopolitico più ampio, su scala globale, perché è solo al suo interno che si potranno trovare le chiavi per la composizione dei conflitti regionali, anche di quello generato dall’invasione russa in Ucraina, e per la protezione delle popolazioni civili bersaglio delle azioni militari in tanti paesi del mondo.
La manovra a tenaglia che la Russia di Putin sta completando in Ucraina si inserisce in una manovra più ampia che parte dal Baltico ed arriva fino all’Africa meridionale, passando per la Siria e l’Iraq. Una manovra che ha come obiettivo isolare e dividere l’Europa, privandola dei suoi canali privilegiati di rifornimento delle fonti energetiche e delle materie prime di cui sono ricchi i paesi dell’Africa e del vicino Oriente. Un riequilibrio dei rapporti politici ed economici su scala globale che avviene con l’assenso delle due grandi potenze orientali, la Cina e l’India, con le quali la Russia sta stringendo alleanze o patti di non aggressione, sulla base di una logica spartitoria che nega il riconoscimento del diritto internazionale e dei diritti umani, una logica di pura forza basata sul principio del fatto compiuto e sulla prevalenza del più forte sul terreno.
2. I grandi media italiani non raccontano che una parte delle guerre che proseguono nel mondo, a partire dal conflitto permanente in Palestina e dalla guerra in Siria. Ma è in tutta l’Africa che lo scontro tra le grandi potenze alimenta conflitti a bassa intensità, magari su scala regionale, che fanno decine di migliaia di vittime civili, e condizionano pesantemente le relazioni tra gi Stati e la mobilità delle persone da una frontiera all’altra. I “veri profughi” partono anche dall’Africa e dall’Oriente.
Queste nuove guerre si combattono anche sui grandi canali di comunicazione, piegati alle logiche imposte dai governi. Rimangono poche voci libere. Tra i giornali Il Manifesto e Domani. Come Radio Radicale, una tra le poche fonti di informazione rimaste nel nostro paese dominato, con qualche eccezione personale, in RAI, dal giornalismo di guerra e dal falso umanitarismo. Esemplare la tormentata vicenda del corrispondente RAI da Mosca Marc Innaro, sottoposto a feroci critiche per non essere allineato alla narrazione dominante sul conflitto in Ucraina. Da non perdere le analisi su Internazionale. Altri aggiornamenti continui sulle guerre nel continente africano si possono ricavare dall’agenzia di informazioni Africa ExPress. E poi vanno seguiti anche i media africani, come Jeune Afrique.
Le guerre in Africa continuano tutti i giorni e nessuno può ignorarlo. La Russia (e la Cina) le stanno sfruttando su piani diversi, quando non ne sono direttamente complici. A Bruxelles e nelle capitali europee si pensa ancora di trattare con i paesi africani sulla base della esternalizzazione delle frontiere, sullo scambio tra risorse e sicurezza, quindi sul principio della “condizionalità migratoria”, un indirizzo politico disumano, vincente a livello elettorale, ma del tutto inefficace sul piano dell’effettivo controllo della mobilità delle persone in fuga da guerre, corruzione, disastri ambientali e climatici dalle conseguenze ormai irreversibili. Il voto dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla guerra in Ucraina riflette in modo speculare le grandi divisioni tra gli Stati africani, sia pure con diverse gradazioni di furbizia, in base alle variegate relazioni commerciali esistenti con la Russia e con l’Europa.
Come riporta Le Point Afrique, “Sebbene la risoluzione sia stata approvata a stragrande maggioranza con 141 voti favorevoli, alcuni paesi africani sono stati tra i 35 che si sono astenuti al voto: Sud Africa, Mali, Mozambico, Repubblica Centrafricana, Angola, Algeria, Burundi, Madagascar, Namibia, Senegal, Sud Sudan, Sudan, Uganda, Tanzania e Zimbabwe. L’Eritrea, nel frattempo, è stato uno dei soli cinque paesi a votare attivamente contro la risoluzione, insieme a Russia, Bielorussia, Siria e Corea del Nord. Tra questi paesi, molti sono alleati di lunga data di Mosca, come l’Algeria. In generale, più stretti sono i legami militari, economici e politici con la Russia, più è probabile che vi siano risposte africane”. Sulla stessa Risoluzione il Marocco non ha partecipato al voto. L’Eritrea ha addirittura votato contro, come era ampiamente prevedibile da un governo dittatoriale che prosegue una guerra in Tigray colpendo indiscriminatamente le popolazioni civili ed arrestando tutti gli oppositori interni.
In molti di questi paesi la Russia ha infiltrato truppe mercenarie dotate di armamenti pesanti del cd. Gruppo Wagner, presente anche in Libia, ed ha contribuito attivamente al golpe in Burkina Faso ed alla rottura tra il Mali e la Francia. Dopo la partecipazione alla guerra di occupazione in Siria la Russia ha inviato mercenari del gruppo Wagner oltre che in Libia, in Mozambico, Sudan, Repubblica Centrafricana, Madagascar. È la cosiddetta “guerra ibrida”, basata, oltre che sulla corruzione e su violenze terribili contro le popolazioni civili, sul negazionismo delle stragi e sul ribaltamento della verità, che potrebbe essere anche il prossimo stadio del conflitto in Ucraina. Che non si risolverà certo in poche settimane. Ma le “guerre ibride” in Africa, lontano dai nostri schermi proseguono da anni.
Il voto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sull’aggressione russa e l’impotenza del Consiglio di Sicurezza, paralizzato dal diritto di veto, confermano questo “nuovo (dis)ordine mondiale” basato sulla logica di guerra permanente, di divisione tra blocchi, e sulla prevaricazione del più forte. In questo quadro la mobilità umana è gestita come un’arma di cui si avvalgono gli Stati, per regolare rapporti di forza e per delimitare aree di interesse, come si è visto nel Mediterraneo, nei Balcani ed alla frontiera tra la Polonia e la Bielorussia. Ma sono anni che queste posizioni divise e divisive svuotano il multilateralismo e rendono il diritto internazionale uno strumento poco idoneo alla risoluzione dei conflitti, basata piuttosto sui rapporti di forze (armate) tra i contendenti.
L’abbattimento del diritto internazionale è al centro dei programmi dei partiti di destra a matrice nazionalista o sovranista, che oggi vestono i panni dei pacifisti contrari ad ogni intervento armato. Dopo avere avallato nel tempo attacchi armati contro la popolazione civile in tutti i paesi del mondo, se si trattava di impadronirsi di risorse energetiche o di bloccare il diritto, che spetta a qualunque persona, di lasciare il proprio paese, questi nuovi “pacifisti”, come Salvini, cancellano le contraddizioni create dalle loro politiche in Africa e nel Mediterraneo, ed arrivano persino a proporsi per missioni umanitarie di chiaro carattere propagandistico, addirittura oltre i confini dell’Ucraina.
3. Anche le guerre combattute dagli Stati Uniti e dai loro alleati occidentali hanno comportato la commissione di crimini contro l’umanità e pesanti perdite alla popolazione civile, basti pensare all’Iraq,o alla fine ingloriosa della presenza americana in Afghanistan,per quanto rimossa, che ha segnato però un punto di non ritorno nel declino dei diritti umani e del diritto alla protezione. Il falso alibi dei corridoi umanitari non ha funzionato affatto, come non funzionerà neppure in Ucraina, ma ha soltanto costituito la giustificazione per lasciare infierire con violenza ancora maggiore contro chi non voleva o non poteva essere evacuato. I crimini contro l’umanità e la violazione sistematica del diritto internazionale, di cui si è macchiato anche il nostro paese in Libia e nel Mediterraneo sono rimasti senza una sanzione effettiva, e rimane da vedere adesso quali saranno le reali conseguenze delle sanzioni imposte alla Russia di Putin dalla comunità internazionale. Sanzioni che nessuno ha pensato di adottare quando la Russia bombardava i civili in Siria o quando sosteneva anche con i mercenari delle milizie Wagner sanguinosi colpi di Stato in paesi africani.
La crisi umanitaria e politica, che potrebbe sfociare in una crisi militare ed ambientale, derivante dall’aggressione russa in Ucraina, costituisce forse l’ultima occasione in Europa per un ribaltamento delle politiche di esclusione verso le persone migranti, tagliate fuori da muri sempre più alti, e di complicità con paesi che non rispettano i diritti umani. La mobilità umana costituisce una condizione imprescindibile per rapporti tra Stati basati sulla leale collaborazione, sulla solidarietà e non sullo sfruttamento selvaggio delle risorse e con la corsa agli armamenti. Le istituzioni internazionali, a partire dalle Nazioni unite, e l’Unione Europea, avrebbero dovuto basare la loro politica nei confronti di Putin senza cadere nella tentazione di rafforzare la presenza della Nato alle frontiere orientali dell’Unione Europea, o di ammettere con procedure accelerate i paesi come la Moldavia e la stessa Ucraina, che dovrebbero essere inclusi alla fine di un processo di avvicinamento economico e sociale e non sotto l’emergenza di un attacco armato. Un ulteriore sbilanciamento dell’Unione Europea ad est potrebbe rinforzare il gruppo dei paesi sovranisti, e ridurre l’attenzione verso il Mediterraneo ed i paesi terzi della sponda sud di questo mare, nevralgico per la mobilità dei migranti ed i traffici commerciali.
La trattativa, il boicottaggio, persino lo scontro, vanno praticati su scala globale, disgregando la logica dei blocchi, altrimenti sarà inutile giocare su uno scenario ristretto, come rischia di essere persino l’Europa, quando Putin sta operando da anni a livello globale. Per non arrivare alla terza guerra mondiale, bisogna vincere sul terreno della concorrenza sui mercati, del riconoscimento universale dei diritti sociali, con un impegno straordinario sulla tutela ambientale e sul riconoscimento dei diritti umani. Le politiche di deterrenza militare possono soltanto portare allo scontro armato. Occorre guardare all’Africa, al Medio Oriente ed ai paesi asiatici per proporre sviluppo e mobilità, e per tentare, se siamo ancora in tempo, una soluzione pacifica dei tanti conflitti aperti per accerchiare l’Europa. Si è lavorato per anni alla costruzione di una fortezza Europa per difendersi dai migranti, ma ora quelle mura potrebbero sbriciolarsi da un giorno ad un altro sotto l’attacco a tenaglia portato dalla Russia, e in modo ancora non manifesto dalla superpotenza economica cinese. Se c’è ancora il tempo per una svolta nelle relazioni internazionali è adesso.
(foto ansa)