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Emergenza profughi. Urgono corridoi umanitari.

Il numero di rifugiati siriani dislocati nei paesi limitrofi è pari a quasi due milioni di persone, costrette ad abbandonare la propria terra e impossibilitate a ritornare, dopo 10 anni di guerra civile. Questo è il dato riportato e denunciato in questi giorni dall’UNHCR, l’Agenzia ONU che dal 1950 tutela i diritti dei rifugiati in tutto il mondo.

Con riferimento ai paesi confinanti con la Siria, oltre il 65% dei rifugiati rimasti nella regione si trova in Turchia (15% in Libano e quasi il 12% in Giordania).

Parallelamente, la nuova escalation della crisi afghana porta inevitabilmente all’aumento del numero di rifugiati obbligati a lasciare il proprio paese (secondo la BBC già 2,2 milioni di afghani avevano trovato rifugio nei paesi limitrofi).

Rispetto a questi altissimi numeri di donne, uomini e bambini in cerca di protezione al di fuori dei propri paesi, devastati dalla guerra, le richieste di asilo in Europa sono pari soltanto a 63.455 per la Siria e 44.190 per l’Afghanistan nel 2020; attualmente in ulteriore decrescita a causa del perdurare delle restrizioni all’ingresso frutto dei provvedimenti dettati dalla pandemia.

Testimonianza diretta della crisi dei rifugiati dell’area mediorientale ci viene fornita dall’International Blue Crescent (IBC), il cui vice-presidente è membro del COPPEM. L’IBC agisce insieme ad altre organizzazioni e con il supporto di donors internazionali lì dove l’emergenza profughi è di maggiore impatto. È il caso di Kilis, città turca al confine con la Siria che ha visto raddoppiare la propria popolazione in seguito all’arrivo di rifugiati siriani, generando una situazione difficilmente gestibile da una piccola municipalità. Con il supporto della canadese “International Development and Relief Foundation” (IDRF), vengono organizzate attività educative e sociali a beneficio dei rifugiati così come supporto legale e psicologico ed altri servizi di tutela rivolti ai minori e alle donne. Similmente viene data assistenza a Konya e ad Esenyurt, dove i rifugiati provengono prevalentemente dall’Afghanistan ed intervengono altri donors internazionali (rispettivamente GIZ e WJR). A seguito della situazione generata dai negativi effetti socio-economici riferiti alla pandemia di Covid-19, l’accesso ai servizi è diventato ancora più difficile per i rifugiati.

L’IBC esprime forte preoccupazione ad esempio per l’attuale situazione nel campo profughi siriano di Igde, villaggio situato in Siria nella provincia di Azaz, bersaglio quest’anno anche di attacchi terroristici e dove; con il supporto dell’IDRF l’IBC ha distribuito quest’anno 800 razioni di cibo ma sottolinea che manca un regolare rifornimento di viveri da parte delle organizzazioni internazionali.

Situazione parimenti grave si riscontra attualmente in Afghanistan nei campi profughi di Mazar-I Sharif, Kabul and Kunduz, dove verranno distribuite con il supporto dell’IBC e delle organizzazioni donanti, razioni di cibo ad oltre un migliaio di famiglie in fuga dalla guerra.

Non dimenticando la situazione dei rifugiati nell’Africa subsahariana, l’IBC (supportata dall’IDRF) è attiva anche in Sudan nei campi profughi di Al Rakuba e Um Durman dove hanno trovato rifugio rispettivamente oltre un migliaio di rifugiati del Tigray.

A supporto di chi fugge dalla guerra, occorre un intervento forte anche dall’Unione Europea, che non si limiti soltanto a inviare beni di prima necessità ma che attivi tempestivamente corridoi umanitari, come sottolineato recentemente anche dalla Fondazione Migrantes.

Finalmente il 16 settembre il Parlamento europeo ha adottato, con 536 voti favorevoli, 96 contrari e 50 astensioni, la prima risoluzione sulla situazione in Afghanistan, chiedendo agli Stati membri di “collaborare per agevolare l’ulteriore evacuazione dei cittadini europei e degli afghani a rischio, in particolare ricorrendo ai corridoi sicuri a disposizione”.

Speriamo ora che si agisca tempestivamente per garantire tutela alle migliaia di bambini, donne e uomini costretti a lasciare il proprio paese, e che la comunità internazionale non dimentichi gli altri scenari di guerra ancora attuali quali lo Yemen ed il Tigray.