Missioni Eunavfor Med, addestramento della Guardia costiera “libica”e rispetto dei diritti umani: un ammiraglio racconta
di Fulvio Vassallo Paleologo “Gia’ docente di diritto di asilo e status costituzionale dello straniero presso l’Università di Palermo”
1.Abbiamo assistito in questi anni, soprattutto dopo la firma del Memorandum d’intesa con il governo di Tripoli nel 2017, ad un vero e proprio stravolgimento del linguaggio, ad un capovolgimento delle fonti normative e ad un attacco generalizzato verso tutti coloro che potevano testimoniare le condizioni tragiche dei migranti trattenuti in Libia ed i casi sempre più frequenti di non intervento, dopo l’avvistamento di imbarcazioni in difficoltà, a rischio di affondare.Le attività di schedatura, perchè di qusto si tratta, emerse dalle indagini in corso a Trapani e Ragusa( ma non si devono dimenticare gli anni di inchieste “catanesi”) nei confronti di giornalisti, avvocati, parlamentari, esponenti della società civile che si sono opposti alla costruzione politico-mediatica-giudiziaria di una Libia unitaria e capace di esssere un partner affidabile per l’Italia nelle attività di contrasto dell’immigrazione irregolare, hanno permesso di ricostruire per riflesso, in attesa dell’individuazione dei responsabili, un quadro molto chiaro dei reali interessi di chi sosteneva che l’attività della Guardia costiera “libica” era meritoria, e pienamente rispettosa dei diritti delle persone migranti “salvate” in mare. Una narrazione falsificante che è stata codificata per la prima volta con il Codice di condotta Minniti del luglio 2017, che poi si è consolidata con i decreti sicurezza Salvini, e che infine è sfociata nel Decreto interministeriale 7 aprile 2020 che ha ribadito la necessità di fare riferimento, dopo i soccorsi in acque internazionali, alle autorità costiere “competenti”, dunque anche ai comandi delle motovedette libiche, ritenuti competenti dopo la improvvida invenzione, nel 2018, di una finta zona SAR ( di ricerca e salvataggio) “libica”. Dove però anche sentenze dei giudici italiani hanno documentato attività di assistenza e coordinamento operate dalla Centrale di comando della Guardia costiera italiana (IMRCC).
Questa narrazione tossica, questo linguaggio distorto, a partire dalla definizione delle Organizzazioni non governative, rappresentate come “taxi del mare” fino ai “salvatggi” operati dalla sedicente Guardia costiera “libica”, è diventata senso comune, senza che trovasse conforto nel diritto interno, nelle fonti di Diritto internazionale o in sentenze di condanna delle ONG da parte della giurisprudenza, che per altro verso è stata chiamata ad occuparsi dei proceessi a carico di chi aveva chiuso i porti o dato ordine di non intervenire tempestivamente in interventi di soccorso, come nel caso del processo a carico di alcuni ufficiali di nave Lybra della Marina militare in corso a Roma. I cittadini comuni, e soprattutto quelle vaste parti dell’elettorato che hanno dato credito ai partiti di destra ed alle nuove formazioni populiste, sembrano ormai avere accettato l’idea che, in tempi di pandemia, per tutelare il bene della salute (pubblica) sia consentito derogare anche principi fondativi della democrazia costituzionale. Salvo poi a protestare in nome della libertà di impresa o del diritto di proprietà, quando le limitazioni alla libertà di circolazione toccano troppo da vicino o riducono fino ad annullarle le possibilità di guadagno. Se questo è già successo in quest’ultimo anno, anche se il tasso di mortalità e la pericolosità del COVID dovessero ridursi, si può essere certi che non appena gli sbarchi e le partenze dalla Libia ( anche attraverso la Tunisia) riprenderanno in maniera più consistente, come si verifica sempre in primavera ed in estate, ripartiranno ancora più diffusamente le campagne contro i soccorsi in mare e contro chunque presti assistenza ai migranti sulla rotta del Mediterraneo centrale. Per la costruzione di queste campagne e per legittimare le indagini penali ed i fermi amministrativi contro le residue imbarcazioni delle ONG, ormai ridotte a poche unità, occorre però dimostrare l’indimostrabile, e cioè che la Libia ha intrapreso nel suo insieme un percorso di normalizzazione che si dovrebbe concludere a fine anno con elezioni e quidi con la nomina di autorità di governo gereralmente riconosciute dall’intera popolazione. Ci vorrà molto più tempo invece per ricostruire un sstema giudiziario efficiente e rispettoso dei diritti umani, come non sembra proprio vicina la costituzione di un esercito unitario e di una Guardia costiera diretta da un unica centrale di coordinamento, ma questi sembrano dettagli irrilevanti a chi deve esibire una immagine della Libia in grado di collaborare con le autorità italiane nel blocco delle partenze e nelle intercettazioni in mare. E’ però sempre più importante che nessuno metta in dubbio la narrazione ufficiale,su una Libia ormai “pacificata” e rivolta al rispetto dei diritti umani, o apra squarci di realtà dietro la sistematica omissione di notizie ufficiali sui soccorsi nel Mediterraneo centrale e sulla situazione nelle città costiere nelle quali vengono riportati i naufraghi intercettati in mare. Ed è questa la ragione per cui era necessario schedare tutte le voci indipendenti per intimorirle e rendere più difficile il contatto tra loro e le fonti dirette delle notizie.
2. In una intervista sul Corriere della Sera, pubblicata anche in video nello stesso giorno , il 12 aprile, in rapida successione con due titoli diversi, l’ammiraglio Agostini comandante della missione europea Eunavfor Med IRINI difende i guardiacoste libici “da lui formati” dalle accuse che proprio i giornalisti intercettati rilanciano dal 2017. Questa levata di scudi arriva all’indomani della notizia della liberazione del noto trafficante di Zawia Milad (Bija) e della sua immediata reintegrazione nella Guardia costiera libica, da anni al centro di una intensa attività di formazione da parte di autorità militari italiane ed europee, al punto che lo stesso Bija è stato in missione in Italia ed ha potuto avere accesso al Viminale ed al Comando centrale della Guardia costiera italiana.
Secondo l’ammiraglio Agostini, che riferisce di occuparsi della formazione della Guardia costiera libica dal 2017, evidentemente nell’ambito della missione Sophia di Eunavfor Med, o di altre attività formative garantite ai miliziani libici dall’Italia in base al Memorandum d’intesa del 2017, non ci sarebbe ” nessun crimine contro i migranti dai guardiacoste addestrati da noi”. Nel corso dell’intervista lo stesso ammiraglio dichiara che la missione dell’Unione Europea in Libia: ha al centro il rispetto dei diritti umani, aggiungendo che i guardiacoste libici addestrati da Eunavfor Med “certo non hanno mai sparato”, aggiungendo però che”sulle altre forze lungo quelle coste non posso garantire”. Giusto, ma se le attività formative erano iniziate nel 2017, possibile che anche lui non sapesse chi fossse Milad (alias Bija) che dal contrabbando di petrolio dalla raffineria ENI di Zawia era passato al commercio di esseri umani vestendo i panni di un comandante della Guardia costiera libica e che era stato protagonsta delle attività formative svolte dagli italiani, al punto da rientrare in una missione di formazione a Mineo (Catania) ed a Roma ? E’ proprio sicuro che dalla motovedetta comandata da Milad (alias Bija) non fosse mai partito neppure un colpo di arma da fuoco contro i migranti in pericolo in acque internazionali e contro gli operatori umanitari che li stavano soccorrendo? Come hanno invece documentato alcuni dei giornalisti e degli avvocati sottposti per anni ad intercettazioni da parte della polizia giudiziaria italiana e dei servizi di informazione. E ancora, è noto come in base ai Regolamenti europei su Frontex ci sia uno scambio continuo di informazioni tra la stessa Agenzia Frontex, che ormai , in assenza di assetti navali, mantiene nel Mediterraneo centrale soltanto due aerei, le operazioni Eunavfor Med, prima Sophia, adesso IRINI, ed EUBAM che è la missione militare europea presente sul terreno in Libia. Come fa l’ammiraglio Agostini a dichiarare di non conocscere quanto avviene ai migranti a terra dopo il loro “salvataggio” da parte dei Guardiacoste libici, se è tenuto a collaborare con strettisimi rapporti informativi ed operativi con le altre agenzie europee presenti in Libia ?
Oppure anche l’ammiraglio Agostini ritiene che Bija sia un campione dei diritti umani ed un soccorritore senza macchia, cosa che però una sentenza di un Tribnale italiano che condanna i torturatori che operavano in un centro di detenzione a Zawia, controllato dalle sue milizie, sembra mettere in dubbio. Lasciamo da parte Bija e supponiamo che facesse parte di quel 50 per cento della Guardia costiera libica che non era stata personalmente addestrata dall’ammiraglio, come si evince anche dal secondo titolo che è stato appiccicato all’articolo del Corriere della Sera poche ore dopo la sua pubblicazione ( Ho addestrato io quei guardiacoste. Non hanno sparato sui migranti). Forse i guardiacoste “formati” da Eunavfor Med ( che comunque provenivano da tutte le città costiere, anche dalla Cirenaica) non avranno aperto il fuoco sui migranti e sui soccorritori, ma proprio nella zona in cui operava la missione IRINI a guida italiana, davanti alle coste della Cirenaica, in acque internazionali nel settore orientale della cd. SAR libica, alcuni mesi fa, i libici di una fazione opposta al governo di Tripoli, probabilmente vicini al generale Haftar, hanno sparato colpi in aria per fermare due pescherecci di Mazara del Vallo prima di sequestrarli con l’intero equiaggio. Le autorita’ militari europee sono a conoscenza delle forze che oggi controllano davvero i diversi settori della sconfinata zona Ssr “libica” ? Sono del resto evidenti i risultati fallimetari della missione Eunavfor Med IRINI sotto il profilo dell’embargo di armi che avrebbe dovuto garantire, ma che la Turchia ed altri paesi eludono continuamente inviando uomini e carri armati alle diverse milizie ancora in lotta tra loro, malgrado il essate il fuoco ed il governo transitorio di unità nazionale. Si apprende anche che la missione Eunavfor Med ha avuto revocato il compito svolto dal 2017 di addestrare i guardiacoste libici, e che invece questo compito “continua a farlo l’Italia”. Si potrebbe chiedere con quali navi e con quali risultati, e soprattutto con quali prospettive, dopo la reintegrazione di Bija nella sedicente Guardia costiera “libica”. Riprenderà la formazione anche con il suo coinvolgimento, mentre rimane sotto giudizio delle Nazioni Unite e del Tribunale penale internazionale?
Nel corso dell’intervista al Corriere dela Sera, l’ammiraglio Agostini dichiara che «le nostre navi operano sino alle 12 miglia delle acque territoriali libiche. Non hanno mai incontrato migranti. È invece avvenuto ai nostri velivoli, che li hanno segnalati alle autorità competenti». Non dubitiamo che i naufraghi da soccorrere siano stati segnalati alle autorità libiche, e possiamo immaginare con quali conseguenze. Non sono state certo chiamate ad intervenire unità militari italiane o di altri paesi europei, come Malta, soprattutto dopo la “scomparsa operativa” della missione Mare Sicuro della nostra Marina. Che, a differerenza di quanto succedeva in passato, non opera più attività di ricerca e salvataggio, anche se le navi rimangono sempre a presidiare la stessa zona, per garantire agibilità e sicurezza ai nostri pescherecci e per sorvegliare le piattaforme petrolifere offshore cogestite anche dall’ENI. . L’ammiraglio conclude in modo rassicurante dichiarando che, in caso di salvataggi da operare in acque internazionali, “Porteremmo subito soccorso, come prevedono le leggi del mare e non li condurremmo in Libia, bensì ad un molo europeo. Così è scritto nel nostro mandato”. Giusta conclusione, peccato che nel corso degli ultimi mesi non si registri neppure un soccorso da parte di unità della missione IRINI, che è posizionata lontano dalle acque più battute dai migranti ch vengono fatti partire generalmente dalle coste della Tripolitania e non dalla Cirenaica. davanti alla quale è l’operazione di Eunavfor Med si propone come principale obettivo, come si diceva, l’embargo del traffico di armi verso le milizie libiche. Quanto al contrasto delle attività di contrabbando di petrolio, che ha in Zawia uno snodo fondamentale,che fine ha fatto l’inchiesta “Dirty Oil” avviata nel 2016 dalla Procura di Catania allora sotto la direzione del dottor Salvi e proseguita con il procuratore capo dottor Zuccaro? Quale contributo hanno portato all’indagine gli assetti navali delle missioni Eunavfor Med che vigilavano sulle acque tra la Libia e Malta? Secondo le attività di indagine svolte dalla Procura di Catania risulterebbe che nel 2018 ” la Guardia costiera di Zawiya è coinvolta anche nel furto e contrabbando di petrolio, che costa alla Libia 750 milioni di dollari all’anno”, pur risultando tra le unità operative impegnate nelle attività di intercettazione in mare dei migranti coordinate da assetti italiani ed europei e finanziate dall’Unione Europea.
3. Nel dicembre del 2019 entrava in vigore il Regolamento (UE) 2019/1896 del 13 novembre 2019, relativo alla Guardia di frontiera ecostiera europea. Il nuovo Regolamento mette al centro delle attività dell’agenzia i sistemi elettronici di controllo delle frontiere esterne, raccordando le attività delle diverse agenzie europee cie operano nel settore del controllo delle frontiere marittime esterne (EUROSUR, EMSA, EUROPOL) ribadendo del resto i tradizionali richiami alla esternalizzazione delle frontiere tramite accodi con i paesi terzi al fine di contrastare l’immigrazione irregolare, ed all’esigenza di conferire maggiore effettività alle procedure di rimpatrio, che peraltro rimangono spesso del tutto bloccate dalla mancanza o dalla inefficacia degli accordi di riammissione con gli stati di origine. A tale riguardo il Regolamento prevede una cospicua dotazione finanziaria ed un ulteriore incremento dell’organico della cd. Guardia di frontiera e costiera europea. (EBCG). Tra i punti più importanti del nuovo Regolamento è il rilancio della cooperazione con i paesi terzi al fine di rendere più efficaci le prassi di intercettazione /soccorso in mare e di respingimento/espulsione. In linea con le precedenti deliberazioni del Consiglio dell’Unione europea del 23 novembre 2020, le Raccomandazioni della Commissione europea adottate nella stessa data confermano le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera e la collaborazione con i paesi terzi della sponda sud del Mediterraneo per contrastare quella ce si continua a definire soltanto come “immigrazione illegale”.
Secondo il rapporto dell’OIM “COVID-19 Control Measures, Gap in SaR Capacity Increases Concern About ‘Invisible Shipwrecks’ del 12 maggio 2020,“Le misure attuate dai governi in risposta a COVID-19, tra cui chiusure di porti, ritardi nello sbarco e la ridotta presenza di navi di ricerca e salvataggio sulla rotta sempre più trafficata del Mediterraneo centrale, stanno sollevando serie preoccupazioni sul destino delle navi in pericolo e le cosiddette ” naufragi invisibili “. “Stiamo assistendo a un costante aumento del numero di navi sull’acqua di cui siamo a conoscenza e l’assenza di operazioni di ricerca e salvataggio statali e guidate da ONG rende difficile sapere tutto ciò che sta accadendo in mare”, ha affermato Frank Laczko, direttore del Global Data Migration Data and Analysis Center di IOM. “La risposta a COVID-19 ha avuto un impatto decisivo sulla nostra capacità di raccogliere dati precisi. La rotta del Mediterraneo centrale rimane la più pericolosa rotta di migrazione marittima sulla terra e, nel contesto attuale, sono cresciuti i rischi che naufragi invisibili lontani dalla percezione della comunità internazionale ”.
Secondo l’OIM, i naufraghi intercettati in mare e riportati a terra per essere rinchiusi nuovamente nei centri di detenzione, dopo essere stati “recuperati” dalla Guardia costiera libica, sarebbero da inizio anno più di 3700 persone. Secondo un recente Rapporto di Esperti delle Nazioni Unite ““I civili in Libia, inclusi migranti e richiedenti asilo, continuano a subire violazioni del diritto internazionale umanitario diffuso e del diritto internazionale dei diritti umani e abusi dei diritti umani. I gruppi terroristici designati sono rimasti attivi in Libia, sebbene con attività ridotte. I loro atti di violenza continuano ad avere un effetto dirompente sulla stabilità e sulla sicurezza del Paese”. Come riporta l’agenzia NOVA, “Il rapporto finale del Gruppo di esperti sulla Libia ha cercato di fare luce sulla rete di contrabbando di carburante e di esseri umani nella città di Zawiya, dominata dalla cosiddetta Brigata al Nasr. Tale attività si sarebbe intensificata durante la seconda metà del 2020, quando la domanda mondiale di carburanti per il trasporto marittimo è diminuita a causa della pandemia di coronavirus e i prezzi di mercato sono calati.
Il report degli esperti Onu afferma che le infrastrutture delle reti di contrabbando di Zuwara e Abu Kamash sono ancora intatte e non hanno perso la capacità di effettuare operazioni di esportazione illegali. Di fatto, malgrado le missioni internazionali che si succedono in Libia, la situazione sul terreno, ed in mare, è ancora caratterizzata da una grande incertezza, data anche dalla presenza di numerose milizie straniere e dal ruolo altalenante delle diplomazie europee, dopo che la Turchia ha stabilito una forte presenza militare a difesa del governo di Tripoli. Le prospettive di una pacificazione reale sul territorio, che possa garantire il rispetto dei diritti umani delle persone migranti, e degli stessi libici, appare ancora lontana. La contesa sulle risorse economiche che può offrire il mar libico, sia in termini di attività estrattive che nel comparto della pesca, hanno spinto le diverse autorità libiche a scambiare la zona di responsabilità per le attività SAR come una parte del mare territoriale.
4. L’8 gennaio 2020, Joseph Borrell, Alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, rispondendo ad un’interrogazione parlamentare ha negato che siano mai state fornite informazioni da Frontex alla Guardia costiera libica nell’ambito delle operazioni di sorveglianza previste dal regolamento UE (n. 656/2014) ed effettuate dagli Stati membri alle loro frontiere esterne in cooperazione con l’Agenzia. “Ciò si è verificato tuttavia nell’ambito dell’Eurosur Fusion Service — Multipurpose Aerial Surveillance (MAS)”, ha ammesso il commissario Borrell. “Durante l’attività di sorveglianza aerea MAS nell’area di pre-frontiera – dal 2017 sino al 20 novembre 2019, quando Frontex ha individuato situazioni di pericolo nella regione SAR libica, l’Agenzia informato in 42 casi il Centro di coordinamento delle ricerche dello Stato membro più vicino, EUNavFOR MED così come le autorità libiche”. Josep Borrell ha pure negato lo scambio d’informazioni sulle attività di sorveglianza marittima tra l’(ex) missione militare UE “Sophia” e la Guardia Costiera libica.
Il 17 giugno 2020 quattro organizzazioni non governative (Alarm Phone, Borderline-Europe, Mediterranea Saving Humans e Sea-Watch) hanno presentato il rapporto Remote control: the EU-Libya collaboration in mass interceptions of migrants in the Central Mediterranean che evidenzia come le azioni intraprese dalle unità di sorveglianza aerea dell’UE, in collaborazione con le autorità libiche, stiano facilitando le intercettazioni e i respingimenti di massa dei migranti. Il rapporto ricostruisce in particolare alcuni eventi di ricerca e salvataggio conclusisi con intercettazioni e respingimenti verso la Libia. Non possiamo non rilevare che mentre rappresentanti ufficiali della nostra Marina militare, adesso al comando della missione IRINI di Eunavfor Med, diffodono informazioni rassicuranti sul rispetto dei diritti umani da parte di almeno “metà” della Guardia costiera “libica”, direttamente formata dagli europei, quelle associazioni che hanno denunciato quanto avviene realmente in mare ed in territorio libico siano sotto inchiesta e le loro navi rimangono sottposte a fermi amministrativi.
Come osserva Duccio Facchini (Altreconomia), “fino al dicembre 2018, la nostra Guardia costiera ha pubblicato un bollettino mensile aggiornato delle attività SAR (acronimo di Search and Rescue, ricerca e soccorso) condotte nel Mediterraneo centrale e coordinate dal Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo (M.R.C.C., Maritime Rescue Coordination Centre). Quei prospetti contenevano tre dati: il numero delle operazioni di “Ricerca e Soccorso”, il numero delle persone “soccorse” sotto il coordinamento italiano e la tipologia degli assetti intervenuti -fossero navi della Guardia costiera, della Marina militare, della Guardia di Finanza, della missione EUNAVFOR MED – Operazione Sophia, delle ONG o altri ancora-. Il cappello era uno solo: “attività SAR”, ai sensi, tra gli altri, degli obblighi previsti dalla Convenzione di Amburgo del 1979 sul soccorso marittimo. Dall’inizio di quest’anno, però, è cambiato qualcosa. Le “Attività Search and Rescue nel Mediterraneo centrale” oggetto dei precedenti bollettini (oggi trimestrali) sono diventate “Eventi riconducibili al fenomeno dell’immigrazione non regolare via mare verso le coste italiane”. La qualifica delle “persone” è cambiata d’un tratto: alle persone “soccorse” sono state affiancate quelle “intercettate nel corso di operazioni di polizia di sicurezza”, tecnicamente definite operazioni di “Law Enforcement”.
Come ha spiegato in occasione di una audizione in Parlamento l’ammiraglio Carlone, le attività di ricerca e salvataggio( SAR) dovute dagli Stati in acque internazionali sono assai chiare e non possono essere ritardate o rifiutate perchè un evento nel quale un imbarcazione sovraccarica naviga a rischio di affondare possa essere qualificato come un “evento migratorio”, da monitorare e contrastare con gli strumenti del cd. law enforcement, nel quale rientrano le missioni Eunavfor Med e Frontex. Dopo la segnalazione di una imbarcazione sovraccarica in alto mare non può esseree sclusa a priori la situazione di “distress” che secondo le Convenzioni internazionali impone interventi immediati. Qualsiasi avvistamento o intercettazione, anche a mezzo droni o aerei, vanno ritenuti ed affrontati come evento di soccorso da risolvere nel più breve tempo possibile, secondo il diritto internazionale, ai fini della salvaguardia della vita umana in mare. Il Regolamento europeo 656 del 2014, che si applica a tutte le operazioni nelle quali sia coinvolta l’agenzia europea Frontex, sia pure con solo monitoraggio aereo, e che impegna dunque anche le unità di Eunavfor Med della missione IRINI, per effetto dello stretto collegamento instaurato dopo il Regolamento europeo su Frontex del 2019 tra tutte le agenzie collegate alla cd. Guardia di frontiera e costiera europea (EBCG) , impone di anteporre la salvaguardia dei diritti umani ed il soccorso in mare a qualsiasi finalità di difesa dei confini, vietando la collaborazione con paesi terzi che non rispettano tali diritti e che non possono garantire un porto sicuro di sbarco (place of safety).
Se una autorità statale, come un comando di una nave militare, che comunque fa capo allo Stato di bandiera, riceve notizia di un evento di soccorso e non ci sono altre autorità che intervengono, se queste autorità che per prime hanno notizia della presenza di persone in alto mare e possono decidere se qualificare l’evento come tetntativo di immigrazione irregolare oppure come un evento di soccorso, non si può escludere che questo Stato e queste autorità esercitino un controllo effettivo sulla vita delle persone, e quindi su questa attività di controllo in acque internazionali deve esserci una giurisdizione ed un possibile giudizio di responsabilità. Altrimenti si alimenterebbe solo la legge del più forte e si legittimerebbero tutte le pratiche di abbandono in mare. Che già hanno prodotto troppi morti e dispersi.
Che valenza possono avere oggi le estese zone SAR attribuite a Malta o alle autorità tripoline? Nessuna autorità nazionale può pensare che, collaborando con la sedicente Guardia costiera libica, non rispondendo alle richieste di soccorso o di designazione di un porto di sbarco sicuro, o negando l’ingresso nelle acque territoriali, ovvero bloccando arbitrariamente navi certificate da autorità straniere, si possa evitare di assumere una qualsiasi responsabilità sul piano internazionale, una responsabilità che potrebbe essere rilevante anche sul piano del diritto interno. La sentenza di condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, nel caso Hirsi deciso nel 2012, affermava la responsabilità dello Stato anche quando i suoi agenti operino al di fuori delle acque territoriali, quando le persone vittime dei respingimenti si trovino sotto “l’esclusivo controllo” di autorità riferibili allo stesso Stato. Quanto abbiamo rilevato in tema di ripartizione delle zone SAR e di sistemi elettronici di controllo delle frontiere ci permette di individuare precise responsabilità, prima esclusive e poi concorrenti, degli Stati che collaborano attivamente con la sedicente Guardia costiera “libica” al fine di intercettare in mare riportare a terra il maggior numero di persone in fuga dalla Libia. E quando parliamo di queste responsabilità facciamo riferimento alla commissione di crimini contro l’umanità, dei quali si sta già occupando il Tribunale Penale internazionale, o di altri reati perseguibili a livello nazionale. Per eludere queste responsabilità non sarà possibile trasformare gli eventi di soccorso in “attività migratorie illegali” e criminalizzare l’operato di quelle Organizzazioni non governative che sono rimaste le uniche possibilità di salvezza per chi intraprende la rotta del Mediterraneo centrale, la rotta migratoria pù pericolosa del mondo.
In considerazione dei sistemi integrati di controllo elettronico che sono stati attivati nel Mediterraneo centrale con il ricorso a mezzi aerei, con o senza equipaggio, e che hanno come perno le operazioni di Frontex e le missioni di Eunavfor Med, si possono quindi profilare peculiari profili di responsabilità che derivano dalla giurisdizione europea e nazionale che va riconosciuta qualora le persone si trovino, sia pure temporaneamente sotto il controllo effettivo di autorità nazionali o europee. Non si può accettare una sospensione a tempo indeterminato di qualsiasi esercizio della giurisdizione delle persone che si trovano in acque internazionali. Ipotesi che potrebbe configurare anche una vera e propria omissione di soccorso.
Non si può certo sostenere che le stesse autorità nazionali, come i vertici delle operazioni navali europee nel Mediterraneo centrale ignorino la sorte dei migranti trattenuti in Libia contro la loro volontà o quanto accade alle persone che sono intercettate in mare, spesso più un sequestro che un evento di soccorso, e riportate a terra. Diverse sentenze degli organi giurisdizionali italiani, a Trapani sul caso dei soccorsi operati dalla Vos Thalassa, a Messina sul caso dei torturatori del campo di Zawia, e a Milano, per fatti avvenuti nei centri libici già nel 2017, attestano la gravità degli abusi subiti dai migranti intrappolati in Libia e l’elevato livello di collusione tra le milizie ed i trafficanti, proprio nei passaggi cruciali dai porti ai centri di detenzione (e viceversa). Se in qualche caso non sono riscontrabili profili di responsabilità esclusiva a carico degli Stati europei o di Frontex, che stanno eliminando sistematicamente tutti i testimoni scomodi, non si può certo escludere, proprio sulla base delle testimonianze convergenti dei sopravvissuti che sono riusciti ad arrivare in Italia, una precisa responsabilità per la complicità italiana ed europea con le attività di intercettazione in mare da parte della sedicente Guardia costiera libica e con i successivi abusi subiti dai naufraghi dopo il loro rientro forzato in Libia. Allora, adesso, vogliamo davvero continuare ad ignorare cosa avviene alle persone che sono “salvate” in mare dai guardiacoste libici e riportate a terra?