Centinaia di migliaia in piazza per i diritti LGBTQ+ in un Paese membro dell’UE: un segnale che il COPPEM rilancia come monito per tutto il Mediterraneo
Budapest si è trasformata in un arcobaleno che attraversa confini, decreti e divieti. Più di 180.000 persone hanno invaso strade e ponti della capitale ungherese per la più grande Pride march mai vista nel Paese, nonostante la legge voluta dal governo di Viktor Orbán per vietare manifestazioni LGBTQ+ con il pretesto di “proteggere i minori”. Una risposta di massa che parla a tutta l’Europa: la difesa dei diritti civili non è un lusso, ma un fondamento di civiltà che nessuno può dare per scontato.
Ed è proprio questo che rende tutto ancora più inammissibile. L’Ungheria è parte dell’Unione Europea, ne condivide fondi, politiche e principi: Stato di diritto, libertà di espressione, protezione delle minoranze. Eppure, mentre Bruxelles discute di diritti e democrazia, Budapest approva leggi che restringono la libertà di manifestare e imbavagliano chi difende spazi di uguaglianza.
A raccontarlo bene è la stampa ungherese indipendente, come Telex.hu, che in questi giorni titola senza mezzi termini: “Be akarták tiltani, minden idők legnagyobb hazai Pride-ja lett belőle” – “Volevano vietarla, è diventata la più grande Pride di sempre in Ungheria”(leggi qui l’articolo completo). L’articolo raccoglie storie di chi, come Lau, una giovane lesbica, racconta la paura di tenere per mano la compagna davanti a un bambino, segno di una pressione normativa che invade anche la quotidianità: “Dopo la legge, senza accorgermene ho iniziato a chiedermi se potevo permettermi di tenere la mano di Vivi davanti a un bambino”, spiega Lau, intervistata da Telex.
(foto Telex.hu)
Mentre la piazza sfidava i divieti, i media vicini al governo definivano il pride una “provocazione organizzata da Bruxelles”, alimentando l’idea di un’ingerenza straniera per giustificare restrizioni che nulla hanno a che fare con i valori europei. Ma la partecipazione record dimostra l’opposto: non è Bruxelles a mobilitare le persone, è la società stessa che rivendica un diritto a vivere senza paura. E non è solo l’Ungheria. Dalla Polonia, che ha appena cancellato le “zone libere da LGBT”, all’Italia, dove la Corte Costituzionale ha aperto nuove tutele per le famiglie omogenitoriali, fino a Londra, Amsterdam, Roma, l’Europa è attraversata da un doppio movimento: da un lato chi tenta di restringere i diritti, dall’altro comunità che non arretrano di un passo.
In questo scenario, il ruolo del COPPEM diventa ancora più centrale. Da anni l’organismo costruisce ponti tra città, regioni e comunità del Mediterraneo, favorendo una diplomazia che nasce dal basso: reti di enti locali, gemellaggi, progetti che mettono al centro l’inclusione e la difesa dei diritti. Di fronte a derive autoritarie, la diplomazia delle comunità è la risposta più concreta. Il messaggio che arriva oggi da Budapest parla anche al Sud del Mediterraneo, a chi lavora ogni giorno per garantire libertà di parola, di identità, di scelta. Perché non basta un trattato per dirsi europei: serve coerenza, responsabilità e coraggio. Il COPPEM rilancia questo segnale come un invito a non distogliere lo sguardo: i diritti non si negoziano, si difendono insieme. Sempre.