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Sono giorni difficili e turbolenti in Turchia, dopo la risoluzione della Convenzione di Istanbul, voluta dal presidente Erdogan che ha sacrificato le donne a favore del potere maschile in nome di una anacronistica “unità familiare”.

Arrivata nel cuore della notte, la notizia dell’abbandono del Trattato, ha visto scendere in piazza, a manifestare contro il decreto presidenziale, centinaia di donne, instancabili e senza paura, per condannare la violenza di genere come un atto discriminatorio e una violazione dei diritti umani e per sostenere la difesa dell’uguaglianza e della giustizia. Il messaggio lanciato dal presidente turco, che già da tempo minacciava l’abbandono della Convenzione, delinea una situazione allarmante, in un paese drammaticamente segnato dai femminicidi, che ha suscitato le preoccupazioni delle istituzioni europee e del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che si è detto profondamente deluso per lo strappo di Erdogan.
 Definita “una notizia devastante” dalla segretaria generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejčinović Burić, l’abbandono turco della Convenzione di Istanbul rappresenta un grave passo indietro, cosi come ha sottolineato Mario Draghi, presidente del Consiglio dei ministri italiano.
 “La protezione delle donne dalla violenza – ha detto l’ex presidente della Banca Centrale Europea – e in generale la difesa dei diritti umani in tutti i paesi, sono un valore europeo fondamentale, un valore identitario dell’Unione Europea”.
Josep Borrel, l’alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, in nome di quel valore identitario dell’UE, ha sollecitato la Turchia a revocare la sua decisione, augurandosi che possa unirsi di nuovo all’Unione Europea nella difesa dei diritti delle donne, elemento fondamentale dei diritti umani, della pace e dell’uguaglianza nel XXI secolo.
Ma lo strappo di Erdogan non farebbe presagire ad alcuna unione con l’Europa. In forte calo di consenso elettorale, il presidente turco, almeno secondo alcuni analisti, avrebbe “venduto” i diritti delle donne a favore di un elettorato conservatore.  Inizialmente usata dal governo turco come dimostrazione di un’apertura nell’ambito della parità di genere, la Convenzione di Istanbul, con la politica di Erdogan sempre più autoritaria e stringente, è diventata uno strumento giuridicamente vincolante con un quadro normativo  di difficile comprensione, soprattutto per quei gruppi islamici più conservatori che vedono nel trattato internazionale, una istigazione a trasgredire norme dell’Islam e un incoraggiamento all’omosessualità e al divorzio.
E mentre i leader dei Paesi UE preferiscono muoversi sulla linea del dialogo con la Turchia, per mantenere un equilibrio nel timore di ripercussioni sui migranti bloccati al confine, e in attesa del prossimo Consiglio Europeo, previsto per il 25 e 26 marzo, il Coordinamento italiano della Lobby Europea delle Donne, sull’atto monocratico di Erdogan, che ha assestato un duro colpo alle donne turche, chiede una maggiore pressione dell’UE.
“Il rigetto della Convenzione di Istanbul e la conseguente uscita della Turchia decisa dal presidente Erdogan, rappresenta un fatto ed un precedente gravissimo che pone a rischio migliaia di donne Turche –  ha detto Maria Ludovica Bottarelli Tranquilli Leali, presidente del Coordinamento  -. Tutte   le organizzazioni internazionali tra le quali l’ONU, l’OSCE e la Nato in cui le politiche di genere sono un fatto acquisito promosso, dovrebbero mobilitarsi e fare pressione sulla Turchia affinché ritorni sui propri passi, minacciando eventualmente, in caso di diniego, l’estromissione della Turchia dai loro ambiti. Serve infatti una mobilitazione comune”
Nato anche ad opera di un gruppo di donne italiane che sentivano la necessità di portare la voce delle donne in Europa, il Coordinamento Italiano della Lobby Europea delle Donne/LEF Italia rappresenta l’Italia nel Consiglio di Amministrazione della European Women’s Lobby, la più grande coalizione europea di organizzazioni femminili e femministe. La LEF Italia contribuisce, con la EWL, a migliorare le politiche di parità di genere in Europa ed in Italia.