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Mohamed Bouazizi era un venditore ambulante che nel dicembre del 2010 si uccise dandosi fuoco. Si uccise imprecando contro la povertà, maledicendo i politici e inneggiando a libertà e progresso. Da quel 17 dicembre non passò giorno nel quale, in tutta la Tunisia, non ci fossero manifestazioni contro il regime di Ben Alì. «Libertà, libertà, Ben Alì a casa». E Ben Alì, l’uomo forte messo da Craxi e dai vertici di allora del Servizi italiani, un mese dopo capitolò e fuggì all’estero.

Le primavere arabe fecero sperare anche le giovani generazioni di Libia, Egitto, Siria, Yemen e altri Paesi, ma l’unica che ebbe dei risultati fu solo quella tunisina: la «Rivolta dei gelsomini».

Il Paese ebbe una nuova Costituzione, le donne ebbero riconosciuti alcuni diritti, si ebbe la libertà di manifestare e dare del ladro a chi ladro è, fosse anche un politico.

Oggi, a dieci anni da quelle lotte, la Tunisia vive forse la crisi più dura degli ultimi vent’anni. Il Paese è in ginocchio; la sua economia sopravvive solo grazie ai prestiti del Fondo Monetario il quale, si sa, concede solo in cambio di riforme e sacrifici. Dopo la caduta del regime di Ben Alì, la Tunisia cominciò a risollevare la testa grazie al turismo che prese ben presto la forma di un turismo di massa. Ma fu solo un lampo: nel 2014 ci pensarono i terroristi islamici a spegnere la luce con due attentati: il primo al museo del Bardo a Tunisi, il secondo in un resort di Sousse. Le vittime furono 24 tra le quali 4 italiani.

Non volle venire più nessuno e l’economia tunisina, che da sempre paga un alto tributo alla corruzione, sprofondò di nuovo.

Adesso sembra di rivivere le stesse giornate di dieci anni fa. La fame uccide, il Covid pure (ogni giorno muoiono in media 200 persone, tante se si pensa che la popolazione della Tunisia è fatta da 11 milioni di persone), i governi che si sono succeduti non sono riusciti a governare la prima piaga e neppure la seconda.

E così è esplosa di nuovo la rabbia, ma non contro il nuovo presidente, ma contro il Parlamento.

E così il presidente della Repubblica Kais Saied, un uomo senza partito, una sorta di populista dei nostri tempi, un giurista che parla solo un arabo forbito, ha avuto buon gioco nel licenziare governo e Parlamento.

Saied ha utilizzato per questo l’articolo 80 della nuova Costituzione che lui stesso ha contribuito a scrivere. La cosa gli fa dire che le regole non sono state violate e che lui ha fatto solo quello che la legge gli consentiva. Non la pensano così i suoi avversari, in primo luogo Ennadha, il partito islamico che ha eletto il 30 per cento dei deputati. Insomma, il primo partido. E Ennadha, che esprime anche il presidente del Parlamento, ha accusato Saied apertamente di aver fatto un colpo di Stato.

Andando per le strade del Paese, la sensazione è proprio questa. Militari che presidiano strade, edifici pubblici e altri luoghi « sensibili », il Parlamento sospeso per trenta giorni, i deputati privato dell’immunità (e questo per molti di loro costituisce un grande problema). I militari presidiano anche gli aeroporti con l’ordine di bloccare tutti i deputati e grandi manager che volessero andare all’estero. Stessa cosa nei porti che restano aperti (ma con lunghi controlli) solo per le navi da carico e per quelle passeggeri. I privati con una propria barca possono solo entrare e non uscire. Uno skipper di Tunisi, che voleva controllare i motori di una barca, ha dovuto rinviare l’operazione a tempi migliori.

Sull’operato di Saied dovrebbe esprimersi la Corte Costituzionale, ma non può farlo perché semplicemente non è stata neppure nominata.

Saied, che con tutta probabilità, ha avvertito le Cancellerie europee e di molto paesi arabi, fa appello alla calma: «Non voglio che scorra una sola goccia di sangue», ma nello stesso tempo aggiunge che non saranno tollerate violazioni alle regole che lui ha imposto.

Una tra queste è il coprifuoco: dalle 19 alle 6 del mattino tutti a casa, nessuno può andare da un governatorato all’altro se non per comprovate necessità.

Cosa succederà nei prossimi giorni non lo sa nessuno. Saied ha assunto i poteri della magistratura e anche quelli del governo e ha detto che nominerà un nuovo primo ministro «per aiutarlo».

I deputati «licenziati» provano a resistere. Prima hanno cercato di entrare in Parlamento, ma la polizia li ha bloccati. Poi hanno chiamato i loro elettori a resistere «al colpo di Stato», ma in piazza non ci sono state le folle di una volta. E per due motivi: il principale è che oggetto della protesta ono proprio i partiti: il secondo che stare in piazza per ore e con 45 gradi sarebbe davvero da eroi.

Saied si gode questo suo momento : dopo aver annunciato alla nazione le sue misure, è sceso in strada, nell’Avenue Bourghiba, è si è fatto un bagno di folla.

E questo gli riesce bene. Ha vinto le elezioni presidenziali, che sono elezioni dirette, senza aver un partito alle spalle. Ha vinto perché ha promesso di combattere casta e corruzione. E’ un musulmano, ma dice di non essere un islamico. Professa la moderazione, ma quello che per alcuni è un colpo di Stato e per altri un atto dovuto, tutto sono tranne che atti moderati.

Dalla morte di Mohamed Bouazizi ad oggi obiettivo dichiarato dai tanti governi che si sono succeduti era quello di combattere la fame e la corruzione. Il mondo occidentale, Europa e Italia in prima fila, hanno fato aiuti per centinaia di milioni per aiutare la ripresa della Tunisia. Insomma, un modo per mettere in pratica quella frase “aiutiamoli a casa loro” che tante volte abbiamo sentito. Peccato che la gran parte di questi aiuti sono stati destinati a combattere l’emigrazione illegale. Illegale perché qui in Tunisia non c’è libertà di espatriare. Il passaporto viene dato, ma non è un diritto averlo. E così, incuranti delle regole e della prigione (se vengono presi finiscono in galera), i tunisini si sono fiondati sull’Italia perché, come dicono tanti di loro, “meglio morire in mare che morire di fame”.

Questa è la Tunisia di oggi: Nelle strade, anche in quelle di Tunisi, sembra che non sia successo nulla. Ma tutti sanno che è così. Si aspetta solo la prossima mossa di Saied o del partito islamico. La guerra è tra loro e chi vincerà non farà prigionieri

(Photo by FETHI BELAID / AFP) foto ANSA