Era il 2021 quando la Turchia decise di ritirarsi dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne e la violenza domestica, più conosciuta come Convenzione di Istanbul. Un vero e proprio fallimento, visto che per la prima volta un paese membro indietreggiava di fronte ad un trattato sui diritti umani volto a proteggere le donne dalla violenza e a sostenere l’uguaglianza di genere attraverso un corpus legislativo di politiche integrate. L’effetto della ratifica della Convenzione si presentò, sin da subito, molto chiaramente: alcuni paesi europei riuscirono ad introdurre una legislazione sullo stupro incentrata sul principio fondamentale del consenso.
In quel preciso momento, in Europa (e non solo), le reazioni furono durissime e la Turchia fu accusata di annullare dieci anni di conquiste sui diritti delle donne.
Oggi, nel 2024, quella stessa Europa non riesce a trovare un accordo sulla Direttiva contro la violenza sulle donne che fissa gli standard minimi comuni all’Unione e dovrebbe essere votata dal Parlamento europeo tra marzo e aprile.
Il paradosso è che ad essere messo in discussione è proprio il criterio del consenso. Più precisamente, viene cassato l’articolo che determina e punisce il reato di stupro come rapporto sessuale non consensuale (già contenuto nella Convenzione di Istanbul), ma anche le molestie nei luoghi lavorativi e la violenza online per la quale bisogna provare che la vittima abbia subito un effettivo danno.
Le ragioni del disaccordo sono diverse: Francia e Germania ne fanno un problema di competenze, l’Ungheria di Orban non ha mai firmato persino la Convenzione di Istanbul, altri paesi europei (Svezia, Spagna, Belgio e Grecia) hanno una legislazione così innovativa al loro interno da non avere bisogno di ulteriori tutele per le donne.
La Direttiva, così come ideata, non permette dunque che lo stupro diventi reato europeo, rimandando il singolo Stato alla normativa nazionale, con il rischio di retrocedere sui diritti fondamentali delle donne.
La questione non si ferma qui perché è stato eliminato anche il passaggio che prevede la formazione obbligatoria a medici, forze dell’ordine, magistrati e a tutte quelle figure chiamate a gestire le problematiche delicate ed emergenziali delle donne vittime di violenza.
Il rischio di un ritorno al passato è concreto, in un momento in cui i dati ci consegnano una situazione estremamente drammatica. In Europa, una donna su venti subisce uno stupro, una su tre è stata vittima di violenza sessuale o psicologica durante la sua vita e ogni giorno ben sette donne vengono trucidate da partner o da ex.
Questo dimostra come sia ancora necessario vigilare su diritti, che per le donne sembrano acquisiti, proteggere le leggi conquistate e porsi nuovi traguardi.
Il COPPEM condivide e sostiene la mobilitazione delle associazioni che si occupano di donne vittime di violenza, dei Sindacati, di personalità dentro e fuori il Parlamento Europeo con l’assoluta convinzione che una legislazione avanzata in tema di violenza sulle donne sia urgente e improrogabile.