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Green Deal, immigrazione dazi e diritti di genere sotto la pressione dell’elezione di Trump in un’Europa sempre più divisa.

La rielezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti segna un nuovo capitolo nelle relazioni transatlantiche e promette di avere profonde ripercussioni su temi chiave per l’Europa e il Mediterraneo: il Green Deal europeo, la gestione dei flussi migratori, i nuovi dazi e l’inclusione. La posizione storicamente scettica di Trump nei confronti delle politiche climatiche globali, già evidente con l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi durante il suo primo mandato, potrebbe rappresentare un ulteriore ostacolo per il Green Deal europeo. Questo ambizioso piano della Commissione Europea mira a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, ma rischia di essere messo sotto pressione dalla competizione economica con gli Stati Uniti, che potrebbero tornare a politiche pro-fossili. Settori chiave come l’industria pesante e l’automotive potrebbero trovarsi in difficoltà nel sostenere i costi di una transizione energetica verde. Inoltre, la mancanza di un impegno condiviso da parte degli Stati Uniti potrebbe indebolire le iniziative climatiche globali, rendendo più difficile per l’Europa trovare alleati nella promozione di politiche ambientali nel Mediterraneo e oltre. Nel Sud del Mediterraneo, dove molti Paesi stanno avviando piani di transizione energetica, il ritorno di Trump potrebbe spingere verso investimenti nei combustibili fossili a scapito delle energie rinnovabili promosse dall’UE. Anche sul fronte dell’immigrazione, l’approccio di Trump, caratterizzato da politiche restrittive e dalla costruzione di muri fisici e simbolici, potrebbe avere un effetto a catena sull’Europa e sul Mediterraneo. Il sostegno a leader europei conservatori come Viktor Orbán in Ungheria o Giorgia Meloni in Italia (unica leader europea presente alla cerimonia di insediamento di Trump) potrebbe rafforzare un approccio più rigido e nazionalista alla gestione dei flussi migratori. Allo stesso tempo, una possibile riduzione degli aiuti umanitari statunitensi verso i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente rischia di accentuare la pressione migratoria sulle coste europee, lasciando l’UE a gestire da sola la crisi. Nel Mediterraneo, le politiche restrittive di Trump potrebbero essere imitate da altri Paesi, come la Turchia, mettendo in crisi i già fragili equilibri regionali. Con il ritorno del tycoon, in Europa si teme un possibile inasprimento delle politiche commerciali, inclusa l’introduzione di nuovi dazi sulle importazioni. Trump ha già ventilato l’ipotesi di tariffe fino al 20%, giustificate dalla necessità di proteggere l’industria americana e ridurre il deficit commerciale del Paese. I settori industriali, come acciaio e alluminio, rischierebbero perdite significative, mentre i consumatori potrebbero affrontare un aumento dei prezzi. La Banca Centrale Europea, guidata da Christine Lagarde, ha già invitato l’Europa a prepararsi con un piano strategico per mitigare l’impatto di una possibile guerra commerciale.

Un altro tema rilevante riguarda i diritti civili e la questione di genere. Trump ha ribadito la sua visione tradizionale, riconoscendo esclusivamente l’esistenza di uomo e donna e non considerando altre identità di genere. Questa posizione potrebbe avere ripercussioni anche in Europa, incoraggiando movimenti conservatori e riducendo lo slancio verso politiche più inclusive. Nei Paesi mediterranei, dove il dibattito sui diritti delle persone LGBTQ+ è già complesso, l’approccio di Trump potrebbe rafforzare una narrazione più restrittiva. L’influenza di Trump in Europa potrebbe accelerare le dinamiche di polarizzazione politica e sociale, rafforzando le posizioni anti-LGBT e anti-genere, e portando a una maggiore frammentazione tra i paesi europei in merito ai diritti civili e alle politiche sociali. Di fronte a queste sfide, l’Europa potrebbe essere spinta a cercare maggiore autonomia strategica. Per il Green Deal, ciò significherebbe intensificare gli investimenti interni in tecnologie pulite e rinnovabili, riducendo la dipendenza da attori esterni. Sul fronte dell’immigrazione, invece, potrebbe emergere la necessità di una politica comune più solida e coesa, capace di superare le divisioni tra gli Stati membri. L’Europa, spesso percepita come una potenza debole nel panorama internazionale, con una fragilità che affonda le sue radici in diverse dinamiche interne, si trova di fronte a una scelta cruciale: subire le conseguenze di un approccio americano meno cooperativo o trasformare queste sfide in un’opportunità per rafforzare la propria leadership globale su temi cruciali per il futuro del pianeta e delle persone. L’esito dipenderà dalla capacità dell’UE di mantenere coesione interna che in questo momento sembra vacillare per la mancanza di unità politica tra i suoi 27 Stati membri, ognuno dei quali tende a privilegiare i propri interessi nazionali. Questo rende difficile adottare decisioni comuni su temi cruciali come immigrazione ed energia. Un esempio evidente è la gestione dei flussi migratori: mentre i Paesi del sud Europa, come Italia e Grecia, chiedono maggiore solidarietà, altri Stati, come Ungheria e Polonia, mantengono un approccio restrittivo. A questa frammentazione si aggiunge una forte dipendenza economica ed energetica da attori esterni. L’Europa importa gran parte del suo gas dalla Russia e dipende dalla Cina per materie prime essenziali come le terre rare. Questa vulnerabilità è emersa con forza durante la crisi energetica innescata dalla guerra in Ucraina, mettendo in luce quanto sia difficile per l’UE agire con autonomia. Un altro fattore di debolezza è la mancanza di una politica estera e di difesa comune. Nonostante gli sforzi per rafforzare la cooperazione, l’Unione europea fatica a trovare una posizione condivisa su molte questioni internazionali. In situazioni di crisi globale, come in Siria o in Libia, l’Europa ha spesso avuto un ruolo marginale, lasciando il campo ad altre potenze come Stati Uniti e Russia. A complicare ulteriormente il quadro è l’eccessiva burocrazia che caratterizza le istituzioni europee. La necessità di trovare compromessi tra Commissione, Parlamento e Consiglio rallenta il processo decisionale, rendendo difficile affrontare tempestivamente le sfide. Le lunghe negoziazioni sul bilancio comunitario ne sono un esempio lampante. Anche la demografia gioca un ruolo cruciale. L’Europa sta affrontando un invecchiamento della popolazione e un calo delle nascite, che compromettono la sua forza economica e sociale. Paesi come Italia e Germania registrano tra i tassi di natalità più bassi al mondo, con conseguenze dirette sulla sostenibilità dei sistemi di welfare. Infine, l’Europa si trova spesso schiacciata tra le grandi potenze globali, come Stati Uniti, Cina e Russia, che cercano di influenzarne le politiche. Le tensioni nelle aree limitrofe, dal Medio Oriente all’Africa, esercitano una pressione diretta sui Paesi europei. La guerra in Ucraina ha dimostrato quanto sia difficile per l’UE mantenere una posizione compatta di fronte alle sfide geopolitiche.