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Il Viminale riduce l’attenzione sulla violenza di genere, ma ogni rifiuto ignorato continua a nutrire una spirale di violenza senza fine.

Negli ultimi giorni, due nuovi casi di femminicidio, a Messina e Roma, hanno scosso l’Italia, riportando l’attenzione su una piaga che non accenna a fermarsi. Il Ministero dell’Interno ha recentemente deciso di cambiare la cadenza con cui vengono diffusi i dati sui reati di violenza di genere, passando dalla pubblicazione settimanale a quella trimestrale. Una scelta che, sebbene possa sembrare un tentativo di fornire un quadro più stabile e analitico della situazione, solleva dubbi. È davvero il momento di ridurre la visibilità di un fenomeno che continua a mietere vittime ogni giorno? La violenza contro le donne è un’emergenza che non conosce pause e ogni settimana segna l’aggiunta di un nuovo nome nella lista delle vittime. La decisione del Viminale di diminuire la frequenza della pubblicazione dei dati su violenza di genere nasce dalla volontà di ottenere una visione più approfondita e stabile della situazione. Tuttavia, la domanda che sorge è se questa scelta rischi di allentare la pressione su un fenomeno che meriterebbe, invece, un monitoraggio costante e tempestivo. Una minore visibilità potrebbe tradursi in una risposta più lenta da parte delle istituzioni e in un abbassamento della sensibilizzazione collettiva, due fattori che rischiano di compromettere gli sforzi per contrastare la violenza di genere. Le associazioni per i diritti delle donne, da parte loro, hanno espresso preoccupazioni, sostenendo che ridurre la pubblicazione dei dati potrebbe portare a una minore attenzione e a una gestione meno incisiva del problema. In un paese dove la violenza contro le donne è ancora una delle principali cause di morte violenta, ogni ritardo nell’intervento può essere fatale.

Il 31 marzo scorso, a Messina, Sara Campanella, una giovane di 22 anni, è stata uccisa a coltellate dal suo compagno di studi, Stefano Argentino, 27 anni. Nonostante Sara avesse subito in passato attenzioni indesiderate, non aveva mai denunciato. L’assassino, dopo averla brutalmente uccisa, è stato arrestato il giorno successivo. La tragica vicenda evidenzia come la paura o la disillusione nel sistema di protezione possano impedire alle vittime di cercare aiuto. Solo pochi giorni dopo, il 2 aprile, a Roma, è stato trovato il corpo di Ilaria Sula, 22 anni, in una valigia, dopo essere stata uccisa dall’ex fidanzato Mark Antony Samson. Anche in questo caso, i segnali di una relazione violenta erano evidenti, ma mai presi sul serio dalle autorità. La vicenda conferma che, nonostante i progressi legislativi, esistono ancora falle nel sistema di protezione delle donne.

Dal 1° gennaio 2025, l’Italia ha registrato un totale di 11 femminicidi, con cinque vittime solo tra l’8 marzo e il 2 aprile. Nonostante alcuni segnali di miglioramento nei dati, ogni caso rappresenta una sconfitta per le istituzioni, un fallimento del sistema di tutela che deve ancora garantire alle donne la protezione che meritano. Ogni femminicidio è un grido di allarme che non possiamo ignorare. Il 7 marzo 2025 è entrata in vigore una nuova legge che introduce il femminicidio nel Codice penale, punendolo con l’ergastolo. Inoltre, la legge ha rafforzato le misure contro stalking e violenza domestica. Sebbene l’inasprimento delle pene possa sembrare una risposta forte, la realtà è che la legge da sola non basta. La vera sfida risiede nella prevenzione, nel garantire che le vittime siano protette prima che accada l’irreparabile. E quindi, il Codice Rosso e le nuove leggi sono davvero sufficienti? Il Codice Rosso, introdotto nel 2019, ha accelerato la presa in carico delle denunce di violenza domestica, ma i casi di donne uccise nonostante avessero denunciato i propri aguzzini dimostrano che il sistema è ancora imperfetto. Le misure cautelari, talvolta, arrivano troppo tardi, e le donne che denunciano trovano spesso protezione solo dopo che è troppo tardi. Il caso di Sara e Ilaria lo conferma: la legge da sola non basta se non viene applicata in modo tempestivo ed efficace. La nuova legge sull’ergastolo per il femminicidio è un segnale importante, ma non basta inasprire le pene, serve garantire che la protezione sia rapida e immediata, soprattutto per quelle donne che, come Sara e Ilaria, si trovano ad affrontare rispettivamente ossessioni e un partner violento. Denunciare è essenziale, ma farlo senza temere per la propria vita è altrettanto cruciale. Uno degli aspetti più gravi del fenomeno della violenza di genere è il retaggio culturale che ancora oggi permea la nostra società. La cultura patriarcale, sebbene in parte superata, è radicata in comportamenti, atteggiamenti e convinzioni che continuano a tollerare e a giustificare la violenza. Le donne sono spesso considerate “proprietà” degli uomini, e il concetto di possesso e controllo si manifesta anche nelle relazioni più giovani. Non è raro che comportamenti violenti vengano giustificati come possessività o gelosia, che la società tende a minimizzare. In molte culture familiari, la violenza è ancora vissuta come un “problema privato” da risolvere in casa, senza intervento esterno. Questa mentalità, purtroppo, permette alla violenza di proliferare, perché impedisce alle donne di denunciare per paura di non essere credute o di essere accusate di “esagerare”. Le istituzioni devono dunque fare di più che inasprire le pene, è necessario un cambiamento radicale nella cultura sociale, promuovendo il rispetto, l’uguaglianza e l’importanza del consenso fin da giovane. La violenza di genere non è una questione privata, ma un fenomeno sociale che va combattuto a livello educativo, culturale e istituzionale. Le recenti tragedie di Messina e Roma devono scuotere le coscienze di tutti. La lotta contro la violenza di genere non è una questione di statistiche, ma di vite spezzate. Ogni donna uccisa, ogni segnalazione ignorata, ogni misura protettiva inefficace è un fallimento di un sistema che ancora non riesce a proteggere adeguatamente le proprie cittadine. Il cambio di strategia del Viminale, riducendo la pubblicazione dei dati, potrebbe essere una mossa sbagliata. La violenza di genere ha bisogno di una risposta continua e concreta. Le istituzioni devono fare di più, garantendo un’efficace applicazione delle leggi, ma soprattutto garantendo che ogni donna che denuncia non sia mai più sola. E soprattutto, bisogna smettere di giustificare o minimizzare la violenza. Ogni segnale, ogni comportamento violento deve essere denunciato, perché ogni ritardo nella risposta può costare una vita. La vera sfida non è solo la repressione, ma la prevenzione, una cultura che educa al rispetto, all’uguaglianza e alla libertà è l’unica arma che può spezzare il ciclo della violenza.