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Il considerare le donne “bottino di guerra” è antico quanto i conflitti tra i popoli e le nazioni. Conseguenza di una cultura misoginia e di una concezione maschilista di esercizio del potere, che non riguarda solo i singoli che la esercitano, ma coinvolge interi gruppi e parte degli eserciti dei Paesi ” aggressori o vincitori “. Il punto, però,  non è quanto sia antico l’uso dello stupro come arma di guerra, ma quanto tempo sia intercorso affinché ci fosse una piena di coscienza collettiva che producesse atti necessari per condannarlo, contrastarla e punirla.
Infatti,  solo nel 2000, con la risoluzione 1325 e, successivamente, nel 2008 con la 1820, l’ ONU condanna l’uso della violenza sessuale come tattica di guerra e ostacolo per la ricostruzione della pace. E bisogna attendere il 19 giugno 2015 perché ci sia un riconoscimento internazionale attraverso l’istituzione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sessuale nei conflitti “.
Eppure l’assurda guerra nell’ex Jugoslavia, aveva già evidenziato, fin dagli inizi degli anni ’90, attraverso inchieste di coraggiosi giornalisti, come lo stupro sia stato utilizzato come arma di guerra.
Ritardo colpevole,  ma del quale non c’è da stupirsi, se solo nel 1996 in un paese come l’Italia, la violenza sulle donne – che non ha le implicazioni di un crimine di guerra- viene inserita nel Codice Penale tra i “Delitti contro la persona”.
Se oggi, 19 giugno 2022, possiamo celebrare questa giornata, riflettendo sull’uso della violenza sessuale nei conflitti, lo dobbiamo alla Risoluzione n.2467 dell’ ONU del 23 aprile 2019.
Tale Risoluzione rappresenta un importante passo in avanti per l’individuazione di misure efficaci per frenare il dilagare dell’utilizzo della violenza sessuale quale strumento di guerra, ma anche per intervenire affinché questo atroce crimine, che riguarda donne e bambine, ma anche ragazzi e bambini, non rivesta un carattere di impunità.
La sfida oggi è la capacità di individuare strumenti di assistenza materiale,  psicologica e sanitaria alle donne vittime di violenza, in fase di conflitto e post-conflitto.
Così come è urgente formare adeguatamente le “Forze di pace“, perché il loro ruolo sia veramente efficace ed utile a salvaguardare le vittime.
Il nostro pensiero di Organizzazione internazionale che opera per il superamento di ogni discriminazione ed oppressione,  per la pace e la cooperazione tra i popoli, va oggi innanzitutto alle donne ucraine che vivono le atrocità della guerra, alle donne dello Yemen, dell’Etiopia, del Sudan, alle donne rinchiuse nei campi in Libia, alle donne afgane che resistono e a tutte le donne  costrette a subire sul proprio  corpo e non solo, l’orrore delle violenze.