Il vice capo della delegazione italiana nel Gruppo PPE al Parlamento Europeo sostiene il piano di riarmo e la nomina del Commissario alla Difesa, ma avverte: “La coesione dell’UE è essenziale per affrontare le sfide geopolitiche ed economiche”.
Marco Falcone, esponente di Forza Italia e membro del Gruppo del Partito Popolare Europeo, interviene in un’intervista al COPPEM, affrontando temi caldi per l’Unione Europea. Tra questi, il piano “ReArm Europe” proposto dalla presidente Ursula von der Leyen, destinato a rafforzare la difesa dell’Europa con investimenti fino a 800 miliardi di euro. Falcone esprime il supporto del PPE a iniziative volte a garantire la sicurezza europea, evidenziando la necessità di una difesa che non sia orientata alla guerra, ma alla protezione della pace. Parla anche della nomina del commissario europeo alla Difesa, Andrius Kubilius, sottolineando l’importanza di un approccio pragmatico per superare le divergenze ideologiche. Tra gli altri temi trattati, il sostegno europeo all’Ucraina, le sfide economiche globali e la ricostruzione di Gaza, con Falcone che ribadisce il bisogno di risposte concrete per proteggere gli interessi europei e promuovere una pace duratura. L’intervista tocca anche le dinamiche politiche interne all’UE, evidenziando la sfida di mantenere coesione in un contesto di crescente nazionalismo e nuove leadership in Europa.
Qual è la sua posizione riguardo al piano “ReArm Europe” proposto dalla presidente von der Leyen, che mira a mobilitare fino a 800 miliardi di euro per rafforzare la difesa dell’Unione Europea?
Il piano di investimenti presentato dalla Commissione va in una direzione ormai indispensabile: rafforzare le garanzie di sicurezza e deterrenza dell’Europa e degli europei. Investimenti militari non per fare la guerra, ma per difendere la pace in un momento geopolitico di grandi cambiamenti.
Ritiene che la nomina di un Commissario europeo per la Difesa possa contribuire a una maggiore coesione e sicurezza all’interno dell’UE?
Certamente, questo è stato uno dei primi impegni che la nuova Commissione ha mantenuto rispetto al nostro, programma, quello del Partito popolare europeo, il più grande partito in Parlamento. Abbiamo oggi un commissario alla Difesa di grande autorevolezza e saggezza, Andrius Kubilius, che sta già lavorando molto bene.
Come valuta l’idea di consentire agli Stati membri di utilizzare i fondi di coesione per aumentare le spese nel settore della difesa, come suggerito nel piano “ReArm Europe”?
Non è una opzione che riguarderà l’Italia, lo ha chiarito il Governo e nello specifico il nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani. Noi di Forza Italia, già con le battaglie di Silvio Berlusconi, siamo invece per gli eurobond con la garanzia comune fornita dagli Stati Ue. Ci fa piacere, in questo senso, che nel piano di Von der Leyen siano previsti 150 miliardi di investimenti da finanziare attraverso prestiti garantiti dal Bilancio Ue, come già avvenuto con il Pnrr.
In che modo il Gruppo del Partito Popolare Europeo intende sostenere le iniziative proposte dalla presidente von der Leyen per rafforzare la sicurezza e la difesa dell’Unione Europea?
Attraverso il nostro consueto pragmatismo e il buon senso nell’azione parlamentare. Occorrerà arginare certe prese di posizione ideologiche, a sinistra come anche a destra, mettendo al centro la pace. Inoltre nessun investimento, nella difesa come sulla competitività, sarà efficace senza un quadro di riforme e il taglio della burocrazia UE che chiediamo da tempo. Lavoriamo in questa direzione, la Commissione europea sta già dando segnali per quanto riguarda lo snelli mento burocratico.
Quali conseguenze potrebbe avere per l’Unione Europea un’eventuale riduzione del sostegno statunitense all’Ucraina, considerando il peso già sostenuto dai Paesi europei in termini di aiuti economici e militari?
Da europeisti quali siamo, ispirati dall’esempio dei padri fondatori come De Gasperi, siamo convinti che qualsiasi mutamento geopolitico debba rappresentare per l’UE un’opportunità di evoluzione. Fermo restando la cornice atlantica e della NATO delle nostre alleanze, qualcosa di indiscutibile anche gli USA, noi europei dovremo essere bravi ad assumerci più responsabilità, superando ciascuno le proprie resistenze per guardare all’obiettivo di grande del rafforzamento strategico dell’Unione.
Come stanno reagendo i principali leader europei alle dichiarazioni di Trump su un potenziale accordo di pace con la Russia, e quali potrebbero essere gli effetti di tale ipotesi sulla coesione dell’UE?
La coesione UE è consolidata e indiscutibile. Poi com’è naturale ci sono diversità di vedute ed è naturale. Siamo una comunità di 27 Stati che collaborano su tante materie, ma con qualche eccezione. L’Italia sta lavorando affinché raggiunga una pace duratura, a difesa della libertà di Kiev e per far sì che guerre simili non si ripetano più.
Qual è il ruolo del Gruppo del Partito Popolare Europeo nel definire le strategie dell’UE per la ricostruzione di Gaza, e quali garanzie possono essere offerte affinché gli aiuti europei raggiungano effettivamente la popolazione civile?
Fin dall’enorme tragedia del 7 ottobre, il Parlamento ha adottato una serie di risoluzioni sul cessate il fuoco, esprimendo anche serie preoccupazioni per la crisi umanitaria a Gaza. L’efficacia di ogni iniziativa anche umanitaria è connessa alla stabilità dell’area e all’avvio della ricostruzione, occorre ripensare l’assetto regionale poiché, come ha ricordato il ministro Tajani, la soluzione Gaza per i palestinesi ha dimostrato tutta la sua fragilità. Ogni sforzo diplomatico dell’UE e degli Stati membri guarda a questo obiettivo.
Alla luce della fragilità della tregua in corso, l’UE dovrebbe condizionare il proprio sostegno alla ricostruzione di Gaza a una soluzione politica più stabile? Qual è la sua opinione in merito?
Il nostro orizzonte, sia dal punto vista UE che da quello italiano, resta la soluzione due popoli, due stati. Ad oggi però il mutuo riconoscimento fra Israele e la Palestina, uno stato che non esiste, è impossibile. Inoltre Hamas rimane un ostacolo alla pace. L’UE deve fare ogni cosa nelle sue possibilità per una ricostruzione ragionata, anche agevolando l’impiego di forze sotto mandato internazionale.
Con le tensioni commerciali globali in aumento, l’Italia e l’UE stanno affrontando il rischio di nuovi dazi sulle esportazioni. Quali strategie dovrebbe adottare l’Unione per proteggere le imprese europee senza alimentare guerre commerciali?
Innanzitutto non dobbiamo abbandonare la linea del dialogo con gli Usa, così come sta facendo molto bene il Governo italiano. Poi noi del PPE stiamo dicendo ormai da tempo che l’Europa deve curarsi in salute, con una nuova politica industriale che rafforzi la competitività per essere meno dipendenti dalle esportazioni. Solo in ultima istanza, si può pensare a dei contro-dazi, ma le ritorsioni non mi hanno mai convinto. Occorre lavorare per evitare scontri controproducenti per tutti.
In che modo l’Italia, all’interno dell’UE, può bilanciare la necessità di proteggere il proprio mercato dall’invasione di prodotti a basso costo con l’esigenza di mantenere buoni rapporti con partner commerciali strategici?
L’UE ha già iniziato ad affrontare la questione, la stessa Commissione ha invitato il Parlamento e il Consiglio ad adottare la proposta di apposizione di barriere commerciali sui prodotti al di sotto dei 150 euro. Il tema è che sul mercato tutti gli attori devono competere partendo da eguali condizioni di partenza. Tutto ciò che va a ridurre il gap fra l’Europa e quei paesi dove costo del lavoro, tutele e garanzie ambientali sono minori mi sembra in linea di principio ragionevole e utile al nostro sistema produttivo.
Con l’ascesa di leader come Trump, Musk, Milei, Meloni, Orban e la nascita di MEGA (Movimento per un’Europa delle Nazioni), stiamo assistendo a un cambio di paradigma politico: si tratta di una reazione al declino del modello europeista o di un ritorno a nazionalismi che rischiano di frammentare definitivamente l’Unione Europea?
Non credo, queste letture tendenti un po’ all’allarmismo non mi hanno mai convinto. Inoltre, tra i nomi elencati vi sono molteplici differenze, impossibile mettere tutti in un generico calderone. Poi penso che in politica si compete sui fatti e sul lavoro per conquistare la fiducia della gente. È questo che restituisce credibilità alle istituzioni ed è su questo che si misurerà la durata e l’efficacia delle diverse ricette.