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Dopo le sconfitte “nella guerra globale ai trafficanti”, il governo Meloni tenta la carta della repressione, ma è sempre più isolato.

1.Sconfitta in Europa, relegata ai margini su scala globale. Sepolta dalla evoluzione delle crisi in Africa la prospettiva di un nuovo Piano Mattei. Dopo la bocciatura da parte del Parlamento europeo sull’ipotesi di Memorandum con la Tunisia, e il definitivo abbandono della proposta di deportare nei paesi di transito i migranti giunti sulle coste italiane, Giorgia Meloni ripropone a New York, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite la sua richiesta di un “blocco delle partenze” magari con il coinvolgimento della missione europea Eunavfor Med Irini, che opera anche su mandato del Consiglio di Sicurezza ONU. Ma la sua richiesta cade nel vuoto dell’Assemblea generale senza alcun riscontro da quell’organismo, il Consiglio di sicurezza appunto, che è l’unico che potrebbe decidere un suo eventuale ampliamento. Ma per motivi che non vengono resi noti, alla riunione di questo importante organo la Meloni decide di non andare, e manda il solito Tajani, ad incassare l’indifferenza, se non l’aperta contrarietà, dei leader mondiali sulle richieste italiane. Alla presidente del Consiglio non rimane che appiattirsi sulla posizione americana sulla guerra in Ucraina e vaneggiare sui pericoli dell’intelligenza artificiale, tanto per alzare cortine fumogene su questo suo ennesimo fallimento. Intanto a Sfax ed a Zuwara migliaia di migranti in fuga dalle violenze dei lager libici e dalla repressione del premier tunisino Saied sono in attesa si imbarcarsi. Non sono certo i traficanti che creano questa massa di disperati, di cui approfittano dopo che i governi hanno creato le premesse per espulsioni di massa e respingimenti violenti, se non hanno favorito direttamente le bande di trafficanti.

2.Come sempre avviene in questi casi, agli insuccessi sul piano internazionale segue un inasprimento degli apparati repressivi sul piano interno, con il raddoppio dei CPR (Centri di permanenza per i rimpatri) ed il prolungamento dei tempi di detenzione amministrativa fino a 18 mesi. Un tentativo già fatto negli scorsi anni senza che le espulsioni con accompagnamento forzato effettivamente eseguite aumentassero in maniera significativa.

Una vera ammissione di sconfitta, il prolungamento dei tempi di detenzione amministrativa, se si pensa che solo qualche settimane fa il governo propagandava procedure accelerate in frontiera e “rimpatri veloci”, anche entro 30 giorni dall’avvio del procedimento, contro quei richiedenti asilo che si sarebbero visti respinta l’istanza di protezione. Adesso anche per loro si prevede il trattenimento amministrativo fino ad un termine massimo di 12 mesi. Del resto quello che sta avvenendo a Lampedusa e negli altri centri hotspot o di transito dove si trasferisce e si cerca di nascondere l’emergenza creata dal governo attorno ai centri Hotspot ed in particolare nelle isole, costituisce la prova della inapplicabilità delle procedure previste per i richiedenti asilo dalla legge n.50 del 2023 (impropriamente definita come “Decreto Cutro”, con un autentico sfregio per le vittime di quella strage su cui si continua ad indagare). Se poi si passa a considerare l’aspetto della sostenibilità economica le misure varate dal governo Meloni in materia di trattenimento amministrativo nei CPR appaiono prive di copertura finanziaria, se solo si considerano i costi di gestione pro-capite, a prescindere dal costo enorme dell’impianto e delle attrezzature per nuovi CPR “in ogni regione”. Risorse gettate al vento della propaganda, se si pensa che solo una minima parte delle persone trattenute in questi centri verrà effettivamente rimpatriata e che saranno risorse sottratte alla spesa sociale ed agli investimenti destinati all’integrazione.

3.Dalle scarse notizie trasmesse dai media sulla infelice missione della Meloni a New York si apprende che avrebbe disertato importanti riunioni degli Stati membri per fare incontri “bilaterali” con rappresentanti di paesi africani, al fine di facilitare procedure di riammissione con acompagnamento forzato che oggi appaiono bloccate pure in presenza di accordi bilaterali che le prevedono. Anche in questo caso si annuncia il fallimento completo di una strategia bilaterale che cerca accordi con regimi che non rispettano i diritti umani, pur di bloccare qualche migliaio di partenze e facilitare i rimpatri con accompagnamento forzato. I dati dei prossimi mesi, per quanto possano essere manipolati per nascondere i fallimenti del governo, saranno elementi di giudizio sulla capacità di Giorgia Meloni e del suo governo, su una materia che oltre ad essere al centro della campagna elettorale per le prossime elezioni europee del 2024, costituisce una cartina di tornasole per lo stato della democrazia e per le prospettive di sviluppo di un paese.

La politica meramente repressiva che il governo Meloni sta cercando di mettere in atto ci isolerà ancora di più, su “scala globale” e a livello europeo. La lotta ai traficanti che il governo antepone alla tutela del diritto di asilo e dei diritti umani non ha alcuna prospettiva di successo se praticata sulla base di relazioni bilaterali condizionate dal ricatto economico, peraltro con paesi da cui siamo sempre più dipendenti per gli approvigionamenti energetici. L’Unione Europea non può proseguire a sostenere le politiche di rimpatrio forzato dell’Italia, con il grave rischio di violazione dei diritti umani.

4. Non sorpende come, pure in presenza di questa pesante catena di sconfitte, il governo Meloni mantenga alto il suo consenso, e semmai si assista ad una redistribuzione di intenzioni di voto che premiano Salvini a scapito della primo ministro, non ancora premier anche se sta provando a scardinare l’assetto costituzionale. Questo si verifica perchè l’opposizione rimane divisa su materie sulle quali ha accumulato pesanti responsabilità, dal Processo di Khartoum e dagli accordi nel 2016 con il Sudan di Renzi, fino al Memorandum d’intesa nel 2017 con il governo di Tripoli, definito da Gentiloni e Minniti. In attesa di una svolta radicale dei partiti che continuano a trattare il tema dell’ immigrazione e dell’asilo, sotto la pressione dei sondaggi elettorali, senza considerare gli esseri umani che continuano ad essere vittima degli accordi bilaterali stipulati in passato,e della sciagurata esternalizzazione delle frontiere, proseguita, in piena continuità con Conte e Draghi, anche dal governo Meloni.

Soltanto una serie di disastri economici e ambientali che si possono già intravedere all’orizzonte, e che incideranno direttamente sulla maggior parte delle famiglie italiane, faranno saltare la logica dello straniero come capro espiatorio, una logica aberrante, basata su una serie di misure repressive di sicuro effetto criminogeno. Una logica che sta prevalendo oggi per nascondere in tutti i settori (dalla sanità all’economia) i fallimenti del governo delle destre. Dobbiamo essere consapevoli che sono ormai una minoranza tra gli elettori le persone che ancora riescono a scegliere una prospettiva realmente alternativa rispetto alle linee del governo. E sono ancora troppo divisi in partiti sempre più piccoli. Occorre recuperare una capacità di aggregazione, resilienza e coesione di gruppi sociali ed enti rappresentativi che permettano il coinvolgimento di singoli cittadini ed associazioni sulla difesa dei diritti umani che non sono alternativi rispetto al riconoscimento dei diritti sociali.

5. A seguito della fondamentale sentenza 105/2001 della Corte costituzionale è principio pacifico che il trattenimento è misura che incide sulla libertà personale (e non solo di circolazione), sicché soggiace alla disciplina dettata dall’art. 13 co. 2 e 3 Cost. che prevede il rispetto di due principi fondamentali: la riserva di legge e la riserva di giurisdizione. La giurisprudenza costituzionale ha messo anche in evidenza lo stretto legame che ricorre tra il principio del contraddittorio e l’esercizio effettivo dei diritti di difesa, da riconoscere comunque a tutti gli immigrati anche se entrati irregolarmente nel territorio nazionale.

Si può dubitare che la disciplina della detenzione amministrativa in Italia corrisponda ai requisiti imposti dalla Costituzione, anche se le posizioni della Giurisprudenza sul punto sono rimaste assai sfuggenti. Ad esempio La sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2004 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5-bis, del d.lgs. 286/1998 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) – introdotto dall’art. 2 del decreto legge 51/2002 (Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera), convertito, con modificazioni, nella legge 106/2002 – nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida debba svolgersi in contraddittorio prima dell’esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa. Quest’ultima sentenza, nel solco aperto dalla precedente decisione n.105 del 2001 della Corte Costituzionale, ha affermato che qualunque procedura di allontanamento forzato, anche se non si realizza con il trattenimento in un CPT (oggi CIE) si traduce in una misura limitativa della libertà personale, che come tale non può essere sottratta ai limiti posti dall’art. 13 della Costituzione. Secondo questa sentenza qualsiasi tipo di accompagnamento dello straniero “inerisce alla materia regolata dall’art. 13 Cost., in quanto presenta quel carattere di immediata coercizione che qualifica le restrizioni della libertà personale e che vale a differenziarle dalle misure incidenti sulla libertà di circolazione”.

Successive sentenze della Corte Costituzionale hanno tuttavia ritenuto la compatibilità costituzionale delle norme che stabiliscono la detenzione amministrativa degli stranieri sottoposti ad una procedura di allontanamento forzato, anche se non sono mai entrate nel merito della omessa previsione delle modalità di trattenimento affidato alla discrezionalità dele forze di polizia. Il Regolamento che in Italia disciplina i CPR, fino alla Direttiva Lamorgese del 2021 sui modi del trattenimento”, ha natura puramente ordinatoria e amministrativa e appare ben diverso dalle leggi che disciplinano l’Ordinamento penitenziario.

Di fronte a norme palesemente incostituzionali, in contrasto con normative unionali o con il diritto internazionale, occorre accrescere congiuntamente la capacità di comunicazione e gli strumenti di difesa legale e di denuncia pubblica, anche a livello internazionale. Le nuove norme introdotte dal governo in materia di detenzione amministrativa costituiscono, insieme alle prassi arbitrarie già in corso da anni, una serie di gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona.

La nuova definizione dei CPR come opere destinate alla difesa ed alla sicurezza nazionale” comporta una totale opacità delle procedure di appalto, gestite dalle prefetture, e la definitiva inaccessibilita’ in queste strutture per giornalisti ed operatori umanitari indipendenti. A rischio anche l’esercizio effettivo dei diritti di difesa, per gli ostacoli frapposti all’ingresso di legali indipendenti e di fiducia. Come e peggio di quanto avvenuto nel 2011 con Maroni, che poi fu costretto a varare una sanatoria per la impraticabilita’ della detenzione amministrativa di massa in vista dei rimpatri con accompagnamento forzato.

a)Si deve denunciare innazitutto la possibile violazione del principio di non respingimento sancito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra, con riferimento a richiedenti asilo denegati ed internati nei centri di detenzione amministrativa senza possibilità di fare valere una domanda reiterata di protezione o senza ricevere al riguardo una adeguata informativa.

b) La nuova normativa sulla detenzione amministrativa nei Centri per i rimpatri appare in violazione degli articoli 11 e 117 della Costituzione per il mancato rispetto di norme dell’Unione Europea e segnatamente dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva rimpatri 2008/115/CE secondo cui:

«Salvo se nel caso concreto possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, gli Stati membri possono trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento, in particolare quando:

a) sussiste un rischio di fuga o

b) il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell’allontanamento.

Il trattenimento ha durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo per il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio».

Non si può ritenere in modo generalizzato ed automatico che tutti i cittadini di paesi terzi soggetti a procedure di espulsione con accompagnamento forzato siano “a rischio di fuga” oppure “ostacolino” la preparazione del rimpatrio, per la mera circostanza di non disporre di validi documenti di ideintità che peraltro, in molti casi, non sono forniti neppure dalle competenti rappresentanze consolari o diplomatiche.

Secondo l’art.15 paragrafo 4 della stessa Direttiva 2008/115/CE

Quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al
paragrafo 1, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata.

Quando sia chiaro che non vi sono più possibilità di rimpatrio verso il paese di origine per la mancata collaborazione dei competenti uffici consolari per il riconoscimento individuale e per il rilascio dei titoli di viaggio, la detenzione amministrativa degli stranieri da espellere rimane priva di base legale, almeno secondo la Direttiva europea sui rimpatri n. 115 del 2008. Le più recenti norme sul trattenimento amministrativo varate dal governo Meloni rendono invece ineluttabile la prosecuzione per 18 mesi della detenzione amministrativa, anche quando risulta chiaro che il paese di origine non consente la riammissione del proprio cittadino.

Nei Cpr potrebbero finire dunque decine di migliaia di persone, anche senza precedenti penali e senza nessuna possibilità di essere riportate nel loro paese, non perchè “fanno resistenza”, ma semplicemente perché privi di documenti di viaggio rilasciati dal loro consolato, circostanza nota da tempo, che impedisce persino i rimpatri “volontari”. Il rimpatrio con accompagnamento forzato dovrebbe restare invece la seconda alternativa dopo il rimpatrio volontario, che in molti casi si potrebbe incentivare con l’abolizione del divieto di reingresso (legale). Se le risorse che saranno sprecate per la costruzione o il riadatamento di nuovi centri di detenzione, e per la loro gestione fossero investiti sul finanziamento dell’integrazione, con la legalizzazione di quanti non sono comunque rimpatriabili e non hanno precedenti penali, si otterrebbe un risultato positivo per la coesione sociale e per lo sviluppo del nostro paese, altrimenti destinato all’impoverimento demografico ed a un buco incolmabile nelle casse degli enti previdenziali.

c)La prassi degli accordi di riammissione con procedure semplificate, previste dagli accordi di riammissione in atto con paesi come la Tunisia, l’Egitto e la Nigeria, sulla base della mera attribuzione della nazionalità, senza la compiuta identificazione individuale, violano l’art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU e l’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ( divieto di espulsioni collettive). Appare molto grave che proprio in questo momento sia vacante il ruolo di Garante dell’Autorità nazionale per le persone private della libertà personale, dopo la scadenza del mandato di Mauro Palma, autore con il suo ufficio di denunce ben circostanziate sugli abusi commessi dalle forze di polizia nei centri di detenzione e nelle procedure di rimpatrio con accompagnamento forzato.

d) La prospettiva di una modifica ( per ora annunciata) dei criteri per l’accertamento dell’età, con un rovesciamento della presunzione di minore età prevista nel “superiore interesse del minore” dalla legge n.47 del 2017, rischia di fare finire nei centri di permanenza per i rimpatri (CPR) e nelle strutture assimilate soggetti di minore età che dovrebbero essere tenuti separati dagli adulti.

e) Si ricorda infine che le modalità di trattenimento nei centri di permanenza per i rimpatri (CPR) dovrebbero essere stabilite per legge, mentre adesso sono rimesse esclusivamente alla discrezionalità delle forze di polizia, con una evidente violazione della riserva di legge stabilita dall’art.13 della Costituzione italiana e della previsione dell’art. 5 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, che ammette la detenzione aministrativa degli stranieri sottoposti a procedure di respingimento o di espulsione, ma aggiunge che Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge”.

6. La recentissima sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che riguarda i respingimenti in frontiera effettuati dalla Francia in Italia, in caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna dichiarata da uno Stato membro nello spazio senza controllo alle frontiere interne, quando detto Stato membro può in via eccezionale ripristinare il controllo di frontiera, dunque con riferimento alle frontiere interne ( riguardo le quali si deve ricordare la fondamentale sentenza di condanna dell’Italia sul caso Sharifi, per i respingimenti collettivi dal porto di Ancona, che non sono mai cessati) ribadisce il fondamentale principio generale della priorità che si dovrebbe accordare al rimpatrio volontario rispetto ai rimpatri con accompagnamento forzato ed alla correlata detenzione amministrativa.

Si afferma infatti che ” il cittadino di un paese terzo che è oggetto di tale decisione di rimpatrio deve ancora, in linea di principio, beneficiare, in forza dell’articolo 7 della direttiva 2008/115, di un certo termine per lasciare volontariamente il territorio dello Stato membro interessato. L’allontanamento forzato avviene solo in ultima istanza, conformemente all’articolo 8 della medesima direttiva, e fatto salvo l’articolo 9 della stessa, che impone agli Stati membri di rinviare l’allontanamento nei casi da esso previsti [sentenza del 17 dicembre 2020, Commissione/Ungheria (Accoglienza dei richiedenti protezione internazionale), C 808/18, EU:C:2020:1029, punto 252].

Si aggiunge inoltre che dall’articolo 15 della direttiva 2008/115 deriva che il trattenimento di cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare può essere imposto soltanto in alcuni casi determinati. Detto ciò, come osservato dall’avvocato generale, in sostanza, al paragrafo 46 delle sue conclusioni, tale articolo non osta a che tale cittadino, qualora costituisca una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna, sia oggetto di una misura di trattenimento, in attesa del suo allontanamento, nei limiti in cui tale trattenimento rispetti le condizioni espresse agli articoli da 15 a 18 della direttiva suddetta (v., in tal senso, sentenza del 2 luglio 2020, Stadt Frankfurt am Main, C 18/19, EU:C:2020:511, punti da 41 a 48).

Per la Corte di Giustizia, in definitiva, e la previsione non sembra riferibile esclusivamente alle frontiere interne, il trattenimento amministrativo non può diventare una misura limitativa della libertà personale, generalizzata, da applicare automaticamente in tutti i casi di espulsione o (in Italia) di respingimento differito

Al di là dei ricorsi che si potranno presentare al giudice nazionale, fino ai livelli più alti della giurisdizione, ed ai giudici internazionali, si può rilevare come le norme introdotte per decreto dal governo Meloni in materia di detenzione amministrativa siano inapplicabili a livello di massa, a parte la prevedibile resistenza dei territori, e produrranno situazioni di gravissima tensione, sia nei centri di detenzione (CPR) già esistenti che in quelli che si andranno ad istituire, Soprattuto se le nuove strutture, tirate su in fretta e furia dal Genio Militare, saranno tendopoli e immobili fatiscenti o edifici ubicati in zone industriali, senza quelle caratteristiche indispensabili per la sicurezza degli “ospiti” e degli stessi operatori. E poi, magari, dopo mesi di detenzione, arriverà il consueto “foglio di via”, l’ordine impartito dal questore di laciare entro sette giorni il territorio nazionale. Un ordine impossibile da rispettare senza documenti di viaggio e senza adeguate risorse economiche. Per molti, per troppi, la fuga nella clandestinità, se non si riesce a superare la frontiera ed a passare in altri paesi europei. Ma un anno e più in un centro di detenzione amministrativa sono comunque una condanna alla disperazione esistenziale più acuta.

Appare scontato prevedere proteste e tentativi di fuga. Ancora una volta il governo Meloni ed i suoi provvedimenti si rivelano come la vera emergenza italiana, che colpisce oggi le persone migranti, vittime di una criminalizzazione di massa, con attacchi reiterati a principi costituzionali che sono a garanzia di tutti, cittadini italiani inclusi.