8 marzo: l’equazione sbagliata (clicca qui per la versione originale)
Viviamo in un mondo in uno stato di “permacrisi”, termine scelto nel 2022 come la nuova parola dell’anno dal Dizionario Collins, che si riferisce al “periodo prolungato di instabilità e insicurezza” in cui le società, secondo gli esperti, affrontano complessi e interconnessi rischi. “Il mondo ha smesso di essere quello che era”, affermano gli scienziati sociali di fronte alla vertiginosa sensazione di insicurezza derivata dagli effetti devastanti della pandemia e delle sue conseguenze, della crisi energetica derivante dalla guerra internazionalizzata nel cuore dell’Europa e dalle tensioni geopolitiche tra gli Stati Uniti e la Cina che causano un declino globale, un impoverimento delle maggioranze sociali e la loro esclusione dalla geografia mondiale.
Nello stesso momento in cui il fenomeno letale della disuguaglianza e gli effetti catastrofici del riscaldamento globale stanno aumentando, cambiando i modelli meteorologici, sconvolgendo l’equilibrio della natura, accelerando i rischi per gli esseri umani e tutte le altre forme di vita sulla Terra, aumentando esponenzialmente il grado di incertezza a tutti i livelli. Anche se è conveniente non cadere nell’allarmismo, perché nessuna delle profezie apocalittiche annunciate si è avverata, dalla più antica del Millenarismo dell’Era di Gesù Cristo, secondo la quale la civiltà non sarebbe durata più di mille anni, alla più recente della fine dell’Universo nel 2012, secondo il calendario Maya, passando per Nostradamus che profetizzò che saremmo scomparsi nel 1999. Panorama che coincide con il 75° anniversario della proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata a Parigi dalle Nazioni Unite nel dicembre 1948, quando ancora fumavano le ceneri della Seconda guerra mondiale, che si stima abbia lasciato più di 50 milioni di morti, tra civili e soldati. Nel documento che si articola in 30 punti, la comunità internazionale ha posto al centro della propria azione la dignità umana e i diritti fondamentali, proclamati come valori universali e ideale comune a tutti i popoli e nazioni, sottolineando che gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. La Carta, rinsaldata 30 anni fa alla Conferenza mondiale sui Diritti Umani, ha incoraggiato la Dichiarazione e il Programma d’Azione di Vienna, un piano comune per rafforzarne l’osservanza in tutti i paesi, stabilendo nuove misure per proteggere i diritti delle donne, dei bambini e delle popolazioni indigene.
Incontro che ha chiesto la ratifica della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, ha istituito il Relatore speciale contro la violenza delle donne e dei bambini, presieduto dalla giordana Reem Alsalem, e ha costituito l’Alto commissario delle Nazioni Unite per promuovere e proteggere i diritti umani in tutto il mondo, diretto dall’austriaco Volker Türk
In concomitanza con questi storici anniversari, è trascorso un decennio dalla tragedia umana di Lampedusa, porta del Sud dell’Europa, in cui persero la vita 336 immigrati africani, inghiottiti dal mare a un miglio dall’isola, che avrebbero potuto essere salvati dalle imbarcazioni delle Ong o dei pescatori, impediti però dalla legge Berlusconi del 2008 che vieta di compiere azioni umanitarie di soccorso vista la minaccia di dure sanzioni economiche, il sequestro delle imbarcazioni e l’arresto per “collaborazione con l’immigrazione clandestina”. Dramma ripetuto sulla costa calabrese, quando il governo ha rifiutato di consentire alla Guardia Costiera di salvare vite affidandosi al recente decreto che criminalizza le vittime, questa volta sulla spiaggia dello Steccato di Cutro, che è costata la vita a più di 80 persone, immigrati asiatici, donne e bambini, in fuga dalla rotta turca dalle guerre in Siria, Iraq e Afghanistan.
Un attentato mascherato da legalità che, al di là della condanna etica, consuma il reato di ‘negazione dell’assistenza’ a cui sono obbligate le pubbliche amministrazioni, inserito nei codici penali di tutti i paesi democratici e punibile dai tribunali internazionali.
Fenomeno che lungi dall’essere naturale, rappresenta il tragico fallimento della politica migratoria europea e le censurabili decisioni politiche di alcuni Paesi del Sud Europa che hanno trasformato il Mediterraneo, ieri linea di unione e mai frontiera, in una grande bara che supera negli ultimi dieci anni, il numero di dolore e vergogna di oltre 30.000 morti, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), a cui vanno aggiunti quelli non documentabili a causa dei ‘naufragi invisibili’, tutte vittime del ‘viaggio della speranza’ di sogni e progetti di vita, arenati per sempre nelle profondità di un mare crogiolo di culture, la cui grandezza interpella tutti noi. Morte di coloro che fuggono dalla povertà e dalla miseria che generano guerre, carestie, malnutrizione, malattie e genocidi, religiosi, culturali o etnici.
Tragedie evitabili con politiche strutturali migratorie urgenti e inclusive che stabiliscano percorsi legali per migrare, che possano consentire alle persone perseguitate di chiedere asilo nei consolati di qualsiasi paese di origine, e in nessun caso lasciarle morire per criminalizzarle come strategia deterrente, una sfida etica a superare la vergogna di un continente ispirato ai principi cristiani, che si vanta di essere un giardino idilliaco di diritti e democrazia. Misure che tutelino i diritti umani fondamentali di fronte all’orizzonte della ‘bomba demografica africana’ che raddoppierà gli attuali 1.256 milioni di abitanti entro il 2050, nella prospettiva di un’Africa sovrappopolata che coniuga la più grave povertà con la più bassa aspettativa di vita, il più alto tasso di mortalità infantile e dove le morti materne rappresentano il 57% del totale mondiale.
Politiche di cooperazione allo sviluppo che diano priorità alla creazione di opportunità nella propria terra e promuovano misure che aiutino la pianificazione familiare, superando le tradizioni morali religiose o culturali che vietano l’uso di metodi contraccettivi.
Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), mentre si produce cibo in abbondanza per tutti, il 10% della popolazione mondiale soffre la fame che uccide una persona ogni quattro secondi, mantenendo in 45 paesi più di un terzo della popolazione sull’orlo dell’indigenza e 50 milioni di persone con fame acuta, mobilizzando 230 ONG di 70 paesi che si sono rivolte alle Nazioni Unite chiedendo un’azione urgente. Crisi alimentare globale causata dalla congiunzione mortale di povertà strutturale, ingiustizia sociale, disuguaglianza di genere, conflitti e guerre come quella in Ucraina, che hanno fatto salire alle stelle il costo della vita.
Nel primo anniversario del confronto militare sulla scena europea, sono evidenti gli effetti della tensione geopolitica, della rivalità nella governance globale e del congelamento della cooperazione internazionale. Aumento incontrollato dell’inflazione, insicurezza alimentare e crisi energetica, impatti che peggiorano le condizioni di vita di milioni di famiglie. Crescenti disordini e rotture sociali dell’accesso ai beni di base, generalizzando le proteste dei cittadini. Nello stesso momento in cui l’architettura della sicurezza globale viene fatta saltare in aria, la corsa agli armamenti viene rivitalizzata attivando il riarmo nucleare, l’Europa mostra il volto più guerrafondaio dalla sua costituzione. La Nato si allarga, indebolendo la società civile, allontanandosi dalla regolamentazione delle relazioni geopolitiche nel cyberspazio dominato e conteso dagli attuali imperi.
A questo punto, il messaggio della vignetta El Roto, del quotidiano El País, opera del fotoreporter madrileno Andrés Rábago, è attuale: “Quello che i nostri genitori ci hanno insegnato, che quando due litigano dobbiamo cercare di separarli e non dare loro armi, è principio lontano”. La “globalizzazione dell’indifferenza”, concetto coniato da Papa Francesco durante la sua visita a Lampedusa nel 2013, sostiene che l’atteggiamento egoista e la mancanza di solidarietà hanno raggiunto una dimensione globale, dimenticando i problemi di sopravvivenza e le ingiustizie di chi li subisce, adagiandosi sullo “stare bene” e “a proprio agio”. Non siamo condannati alla disuguaglianza, ci ricorda il Papa, per la quale chiede un cambiamento radicale delle politiche migratorie, competenze di governance globale per l’Onu, la fine delle barriere che sommano fino a 1.700 chilometri ai confini europei e che dalla caduta del muro di Berlino sono passate da 6 a 63. Barriere che costituiscono un’apartheid globale che rende più pericoloso e mortale lo spostamento di coloro che fuggono dalla povertà, dalla miseria, dalla persecuzione o dalla violenza.
Società culturalmente contaminate da potenti discorsi governativi di forze politiche reazionarie, sostenute da una narrazione manipolativa che rivela che gli immigrati sono un pericolo per il nostro modo di vivere, piuttosto che vittime di conflitti provocati dagli interessi dei paesi ricchi, mentre fomentano razzismo e xenofobia.
Governi senza alcun senso di un futuro fraterno, che usano e fomentano la paura per persuadere la popolazione e gli elettori a sostenere soluzioni di sicurezza autoritarie che violano la dignità umana e guardano dall’altra parte di fronte a effetti di esclusione spesso mortali, e dimenticano di proteggere i Diritti Umani, di rivendicare lo sradicamento della povertà, o di alterare la logica delle società in cui per vivere bene alcuni, altri devono essere condannati, scartati. Attualità che il poeta e drammaturgo Oscar Wilde ha visto con anticipazione più di un secolo fa: “Viviamo in un’epoca in cui certe cose inutili sono i nostri unici bisogni”. La tendenza alla disuguaglianza globale non è un destino inevitabile, con nuove strategie politiche ed energie generazionali innovative, immaginario collettivo e mobilitazione dell’opinione pubblica possono promuovere i necessari cambiamenti politici.
A invitarci a impegnarci per cambiare il mondo in senso solidale è stato il filosofo e attivista politico italiano Antonio Gramsci, che in eredità ci ha lasciato: “Di fronte al pessimismo della ragione, l’ottimismo della volontà”, nucleo pertinente per le rivendicazioni di questo 8 marzo.