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Molte delle aspettative e delle attese non hanno trovato una effettiva realizzazione, rispetto a temi sensibili e significativi come quello del processo democratico-istituzionale del decentramento dei poteri, dello sviluppo della società civile, dell’affermazione dei diritti politici e sociali, oltre che a quelli economici. Non vi e dubbio che Il Mediterraneo costituisce per l’Europa, oggi più di prima, una priorità assoluta. E’ là che si giocano le maggiori sfide per la pace – la sicurezza e la lotta al terrorismo, per prime – per lo sviluppo, per il rispetto dei diritti, per la tutela dell’ambiente, per il governo positivo dell’immigrazione. Il divario economico tra l’Europa, da un lato, il Nord Africa e il Medio Oriente dall’altro rimane elevato. La creazione di un’area di libero scambio è lontana; la lentezza del processo riformista ha pesato sull’integrazione dei mercati e sulla crescita degli scambi; il Mediterraneo assorbe soltanto l’1 per cento degli investimenti diretti mondiali. 

Riguardo al primo pilastro e cioè quello relativo alla politica estera e sicurezza, la primavera araba e il dramma siriano, hanno confermato che anche se l’Unione Europea ha mezzi a disposizione per un a politica estera più efficace e incisiva, si continua ad operare attraverso iniziative individuali dei singoli stati senza una politica estera comune. Per quel che riguarda il pilastro riguardante gli aspetti economici i dati finanziari del bilancio comunitario del 2020 riportano che un singolo paese dell’Europa dell’est ha ricevuto in un anno da parte dell’Unione Europea lo stesso corrispettivo di risorse finanziarie destinate al partenariato euromediterraneo. Ora questo fatto, oltre che renderci perplessi ci deve indurre a fare alcune considerazioni e cioè che una delle maggiori tappe della cooperazione euromediterranea è finalizzata alla realizzazione dell’area di libero scambio. Ora per arrivare preparati a questa data una condicio sine qua non è che i mercati dei paesi della sponda sud, molto fragili, attraverso possibili risorse finanziarie inviate dalla UE adattassero le loro economie agli standard europei. Tutto ciò non e avvenuto e quindi alle condizioni di oggi un mercato comune che coinvolge non lo dimentichiamo 500 milioni di persone apporterebbe alle strutture economiche e commerciali dei paesi della sponda sud più danni che benefici. Il Mancato decentramento dei poteri porta in ultimo ad una situazione paradossale. Le legislazioni nazionali e del governo delle città nei 37 paesi appaiono spesso diverse ed articolate in modo eterogeneo, nel settore dell’ambinete, dell’energia e della tutela del territorio. Anche in questo caso sarebbe stato opportuno che la Unione europea avesse dato seguito a ciò che ci si era ripromessi con il Trattato di Barcellona e cioè di istituire una Commissione dei poteri istituzionali decentrati in cui si discutesse di tematiche riguardanti le città, le province, i governatorati e le regioni euromediterranee. Aspetti positivi comunque nel processo di Barcellona ve ne sono stati. Certo il progetto iniziale era ambizioso. Mettere insieme popoli, paesi che hanno istituzioni politiche economiche, culture e religioni diverse non era assolutamente semplice. Certo, su queste particolari linee tematiche dobbiamo riconoscere che passi avanti sono stati realizzati. Piccoli segnali positivi del conflitto israelo-palestinese aprono nuovi scenari in tutto il medio oriente. Si profilano all’orizzonte in molti paesi arabi nuovi assetti legislativi con aperture in senso democratico e partecipato: le recenti aperture riformiste in Marocco, i decreti legislativi che attuano un sostanziale decentramento istituzionale in Egitto lasciano ben sperare ad un conseguente passo di tutti i paesi arabi a favorire sempre più una riforma programmatica, che porti alla formazione di una classe istituzionale dei poteri decentrati, democraticamente eletta e con ampie funzioni amministrative e di gestione della cosa pubblica. Al di là di tutto, ciò che oggi occorre è una presa di posizione forte e sicura da parte dell’Unione europea che fughi ogni di uno spostamento del baricentro baricentro delle politiche economiche comunitarie verso est. L’auspicio è che si comprenda finalmente che la realizzazione della saldatura tra l’Europa continentale e atlantica con la dimensione mediterranea e quella nordica, sia la ricchezza e la straordinaria sintesi della dimensione euromediterranea. Proprio poggiando su questi temi, è nato il COPPEM, un organismo formato da rappresentanti istituzionali dei poteri locali e regionali dei paesi del partenariato euromediterraneo. L’altro e conseguente passo è quello di riconoscere sempre più un ruolo decisionale amministrativo e politico ai rappresentanti istituzionali dei poteri decentrati, affidando direttamente alla loro gestione gli incentivi economico-finanziari volti alla realizzazione e alla predisposizione di tutti i meccanismi per la realizzazione del mercato comune euromediterraneo. Forse se le Città, le Province, le Regioni e i Governatorati euromediterranei avessero avuto riconosciuto un maggiore ruolo nelle politiche euromediterranee, visto che esse rappresentano le istituzioni più vicine ai cittadini quindi in grado di dare a questi ultimi una percezione più viva e consapevole delle enormi prospettive della cooperazione euromediterranea, gli esiti di questo primo decennio di partenariato euromediterraneo sarebbero stati più positivi .In Ogni caso George Bernard Shaw ci ricordava che l’esperienza è il nome che noi diamo ai nostri errori. Molti errori sono stati commessi in questi 25 anni ma questo deve indurci ognuno per il suo ruolo a contribuire a rilanciare un progetto, un idea di cooperazione che potrà indubbiamente rendere più sicura e migliore un area che è stata culla delle maggiori civiltà della storia dell’uomo.