Con l’allentamento della morsa pandemica si nutriva oramai la diffusa speranza che l’odierna ricorrenza dell’8 marzo potesse finalmente cadere in un clima di progressiva distensione e rinnovato slancio tanto nella promozione dei diritti delle donne quanto nell’impegno per il pieno raggiungimento dell’effettiva uguaglianza di genere. Una piena parità, al cui riguardo nel tempo l’Unione europea – ma, nondimeno, Paesi della vasta area mediterranea – ha fatto significativi passi in avanti conoscendo però una pesante battuta d’arresto, quando non d’arretramento, nei quasi due anni di Covid-19.
Ma un tale auspicio, per utilizzare gli splendidi versi di François de Malherbe, «a vécu ce que vivent les roses l’espace d’un matin». A farlo dileguare come neve al sole l’invasione russa dell’Ucraina, iniziata il 24 febbraio, e l’ininterrotta catena di violenze, miserie, distruzioni che questa guerra fratricida sta provocando da 13 giorni a questa parte. Crescente il numero delle vittime al pari di quello delle persone in fuga, la cui stragrande maggioranza è soprattutto costituita da donne e bambini. Come in ogni conflitto bellico (basti pensare, per citarne alcuni, a quelli ancora perduranti in Etiopia, Yemen, Siria) anche in quello russo-ucraino sono ancora una volta le donne di ogni età e condizione a pagare il prezzo più alto. E con loro minori in legami di figliolanza e di parentela varia o senza alcun legame diretto se non quello evocativo come nei casi d’orfanezza.
Plastica e dolorosa immagine rappresentativa d’una tale immane tragedia resterà sicuramente la foto che, scattata domenica a Irpin dalla freelance Lynsey Addario e pubblicata ieri dal New York Times, mostra una giovane donna e i suoi due figlioletti (una con lo zainetto sulle spalle, l’altro con un trolley) riversi esanimi sull’asfalto dopo essere stati colpiti dall’artiglieria russa. Stavano tentando la fuga disperata verso la capitale Kiev. Ma il loro desiderio s’è infranto con le loro vite su quella strada dov’è stato colpito anche il marito/papà successivamente deceduto in ospedale.
A oggi sono oltre 100 le bambine e i bambini, che hanno perso la vita in questo insensato bagno di sangue, mentre 700.000-800.000 coloro che hanno dovuto lasciare l’Ucraina sulle oltre 1.800.000 persone (quindi quasi la metà) finora fuggite in Polonia, Moldavia, Romania e Ungheria. In ambito sempre minorile c’è poi la tragedia nella tragedia di bambine e adolescenti stuprate e torturate da soldati russi. Sorte che condividono con donne maggiorenni spesso fino all’uccisione.
Tra le prime a parlarne Svetlana Zorina, ventisettenne di Kherson, in un collegamento del 4 marzo con la CNN, durante il quale aveva accusato i militari invasori di «violentare le nostre donne» parlando poi di una conoscente di 17 anni, stuprata e poi uccisa. A lanciare ufficialmente l’allarme quello stesso giorno il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba al canale televisivo N1: «Quando i soldati stuprano le donne nei territori occupati, e abbiamo diversi casi, è chiaramente difficile parlare dell’efficacia della legge internazionale» non senza l’invito alla Nato: «Non lasciate che Putin trasformi l’Ucraina nella Siria».
Non si può non rilevare che gli stupri di guerra perpetrati dalle milizie russe in Ucraina sono una questione aperta da quando nel 2014 è iniziata la guerra del Donbass con l’occupazione della Crimea. Al riguardo la Corte penale internazionale de L’Aja ha aperto un’inchiesta relativa alle violenze sessuali commesse dai soldati su donne e civili catturati nell’area del bacino del Donec.
Al di là di quello che si pensi su Putin o Zelens’kyj, sulla Russia o sull’Ucraina e soprattutto sulle modalità di risolvere la crisi (ovviamente sposo appieno la via del negoziato e del ripudio totale della guerra) una cosa è necessario dire in questo 8 marzo 2022: Oggi e sempre accanto alle donne d’Ucraina, le cui sofferenze e atrocità devono rendere i nostri cuori inquieti fino a quando non si sarà fatto di tutto per risolverne la situazione. Perché solo quando si ritornerà a una tutela piena della loro dignità e dei loro diritti (in una con quella e quelli di bambini e bambine) si potrà vedere un barlume di concreti risultati per l’intero Paese.
Francesco Lepore, giornalista de Linkiesta.it