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Francesca Berté giornalista parlamentare

Le elezioni europee dell’ 8 e 9 giugno 2024 hanno ridefinito il profilo politico e mostrato chiaramente i contorni dei mutamenti socio-politici che stanno scuotendo l’Europa. Destre in ascesa, sinistre in declino, liberali e verdi che perdono terreno: un vero e proprio terremoto politico. Tuttavia, nonostante le scosse, il nuovo Parlamento Europeo non si schiera completamente a destra mantenendo un solido baluardo centrista che supera il 55% dei voti totali. Un po’ più a destra, insomma, ma non abbastanza da permettere alle destre di formare una maggioranza e governare da sole. Gli equilibri nell’emiciclo di Strasburgo non cambieranno, la cosiddetta maggioranza Ursula, composta dalle forze europeiste (Ppe + S&D + Renew), dovrebbe reggere alla prova dei numeri, con 398 eletti su 720: il fronte di popolari del Ppe, socialisti di S&D e liberali di Renew Europe, e sarebbe insomma sopra la soglia della maggioranza assoluta di 360 e quindi saldamente al comando dei 720 eletti nei 27 Stati membri dell’Unione. Con verdi e conservatori, appena fuori il perimetro della coalizione Ursula, a contendersi il ruolo di stampella della maggioranza. Ancora una volta il Ppe di Von der Leyen, che spera nella riconferma, dovrà decidere con chi e a quali condizioni iniziare un dialogo sulla strada della maggioranza trasversale così come fatto nel corso della scorsa legislatura. Certo la frammentazione del voto potrebbe complicare la formazione di maggioranze stabili, rendendo più difficile il processo legislativi. La crescita dei partiti euroscettici, inoltre, mette in discussione il futuro dell’integrazione europea. E sebbene questi movimenti non possano bloccare completamente il funzionamento dell’UE, potrebbero rallentare o ostacolare i processi decisionali, promuovendo un’agenda di rinazionalizzazione delle politiche. Intanto, però, se il futuro delle istituzioni europee chiamate a fronteggiare con abili alleanze trasversali il vento di destra che spira in tutta Europa, appare abbastanza gestibile, così non è per molti Paesi dove l’estrema destra è avanzata pesantemente provocando veri e propri terremoti politici. In Francia l’estrema destra “anti-establishment” il Rassemblement National di Marine Le Pen è risultato il primo partito con oltre il 31 per cento dei voti, oltre il doppio di quelli ottenuti sia dal partito di Macron (“Réveiller l’Europe”, 13,8 per cento) sia dalla coalizione di sinistra che si riconosce nel Pse (“Besoin d’Europe”, 14,6 per cento). Questo risultato ha portato il presidente della Repubblica addirittura a sciogliere il Parlamento francese e a indire nuove elezioni per i prossimi 30 giugno e 7 luglio. In Germania, la destra AfD ha sorpassato il Partito socialista del cancelliere Olaf Scholz. In Austria, la destra estrema è diventata il primo partito. In Italia la destra cresce ma non travolge, Giorgia Meloni esce rafforzata dalle urne, ma a questo fa da contraltare la crescita del PD di Elly Schlein mentre a sinistra, c’è la notizia dell’exploit dell’Alleanza Verdi-Sinistra, che coglie un inatteso successo, portando a Strasburgo l’antifascista detenuta in Ungheria Ilaria Salis. A livello europeo, insomma il gruppo della sinistra cala ma non crolla grazie anche agli ottimi risultati inaspettati dei partiti di sinistra in Finlandia, Svezia e Danimarca, in controtendenza rispetto alle vittorie dell’estrema destra in diversi paesi dell’Unione Europea. La destra radicale non ha sfondato nel Parlamento europeo, ma governa uno dei tre grandi paesi europei, (l’Italia), si appresta a governarne un secondo (la Francia) e cresce a dismisura nel terzo (la Germania). C’è chiaramente da chiedersi se tutto questo non influenzerà, nonostante la tenuta delle forze centriste europee, la politica comunitaria. Sullo sfondo restano la minaccia della guerra e quella della crisi climatica, temi su cui l’establishment europeo ha perso ogni residua credibilità tanto che l’astensionismo è stato al massimo storico con percentuali sotto il 50% degli aventi diritto non solo in Italia, ma anche in Europa dove l’affluenza rispetto a cinque anni fa è scesa dal 54 al 48%.